di Maurizio Liverani
Nella casa dei rancori, così è chiamato dopo le recenti elezioni, Montecitorio, Luigi Di Maio non si sa da quale marmitta ideologica provenga. Si riallaccia alla genia delle cosiddette persone perbene. La fonte del perbenismo è stata inquinata già allo sgorgare della politica. E’ stata resa impura da quando politici, che si spacciavano per i promotori di un’Italia sana e operosa, hanno preferito divenire un coagulo di affaristi, mentre l’idealismo comunista è rimasto fermo a una grigia routine. Con i rubli che venivano da Mosca hanno allargato il loro potere, ma hanno cominciato a spegnere gli ideali promessi. Il declino della democrazia è cominciato da allora. La caduta del Muro ha prodotto quella che è stata chiamata un’”onorata doppiezza”. Per tutelare gli interessi della sinistra, il comunismo è diventato una Cosa, come lo ha definito Sartre, rivestendosi della “menzogna multipla” pur di continuare a ricevere sovvenzioni. Contro un partito che con tanto denaro acquistava giornali e Enti vitali, i poveri, autentici democratici si trovavano a essere sempre perdenti. Il comunismo italiano non aveva niente in comune con quello originario; di questa verità Palmiro Togliatti ne era il portavoce. Meglio mantenere in piedi il sistema capitalistico e integrarsi il più possibile in esso. Mentre l’ideale diventava una cosa morta era facile per il partito conquistare gradatamente tutto il potere esistente. E’ da tempo che molti italiani, comunisti e non, hanno accompagnato questo processo che disgregava il Paese. L’anticomunismo del Vaticano si è disperso nel chiacchiericcio delle conversioni in assenza di vocazioni. Aldo Moro, con le sue convergenze parallele, soprattutto quelle sotterranee, è il leader diccì che più ha concorso a questa mistificazione. Da ardente democristiano era più antiliberale che anticomunista. “Né Cristo né Marx” divenne la stella guida di un popolo che, nonostante lo strapotere dei comunisti unito a quello della Chiesa, andava incontro a un impoverimento materiale e spirituale. L’importante era che, come scriveva Pasolini nel ’75, i partiti ideologicamente scaduti continuassero a reggersi sulla forza di chi detiene il potere finanziario.Oggi, la concorrenza tra gruppi finanziari potenti, paradossalmente, si è fatta promotrice di un’”operazione di onestà”. I nuovi partiti, dal M5s alla Lega, si dichiarano dominati da una ideologia moralizzatrice; un’operazione che non ha nulla di nobile, ma che si riassume nel famoso detto “togliti di lì che mi ci metto io”. Gli italiani con queste votazioni hanno dato ascolto, con scetticismo, ai propugnatori di questa onestà-disonestà che offre come contentino la riduzione dei costi della politica. Gli innovatori, chiamiamoli per ora così, sono ricorsi all’astuzia dei toreri inscenando un finto conflitto con il toro ormai logoro. I recenti contrasti sulle alleanze per formare il governo smascherano questo gioco scorretto facendo apparire la nuova politica come il pane fatto in casa, non acquistato al solito mercato che ostenta la scritta “alleanza”, pardon, “inciucio”. Ma già gli italiani si accorgono che il mondo rappresentato dal nuovo racchiude soltanto un conflitto tra potenti. Gli Enti, le baronie economiche continuano a essere collegati tra loro in un rapporto solidale e integratissimo cui un Di Maio o un Salvini pari sono. Dopo conflitti, polemiche, sbudellamenti, i cattivi abbracciano i buoni, i partiti appaiano alla ribalta per aver recitato con abilità il tremendismo che è un’azione teatrale preparata ad arte.
Maurizio Liverani