FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI
ORA SE NE PUO’ RIDERE
Più che un capo di un partito rivoluzionario, Palmiro Togliatti si presentò, soprattutto alle classi colte, come un uomo di lettere, amante delle arti e della cultura nel solco della grande tradizione italiana. La sua opinione era sempre rispettata, faceva testo. Rabbiosi, rissosi, riottosi i Pajetta, gli Ingrao, gli Alicata, i Trombadori si adattarono allo stile del Migliore: apparire mansueti soprattutto tra gli intelletuali, gli industriali, i grandi borghesi. Questa strategia vedeva lontano: cambiare il partito comunista. Il Migliore vagheggiava un inserimento nella stanza dei bottoni servendosi di autentici democratici e anche dei cosiddetti “utili idioti”. Per prima cosa aveva bisogna dei giornali borghesi; ne creò con il denaro di Stalin, all’insaputa di Stalin, una serie: “Paese Sera”, “Milano Sera”, “Nuovo Corriere” e, successivamente, a Milano “Stasera”, in Sicilia “L’Ora”. A dirigere questi giornali chiamò semplici “simpatizzanti”, gente che non doveva avere la tessera del Pci. Ogni asprezza doveva essere bandita, non tollerata tranne che nel periodo elettorale. Passato il tornado delle elezioni, i giornali tornavano fiancheggiatori. Non tutti i direttori lo seguirono. Vennero cancellati. Il solo giornale che ha seguito le direttive di Togliatti, sino alla morte (avvenuta nel ’64), è sempre stato “Paese Sera”. Connotato primo di quel giornale (nel quale ho lavorato dal ’52 al ’66 come critico cinematografico) era di coinvolgere nelle sue colonne scrittori e intellettuali, molti già compromessi con il passato regime e bisognosi di una “decantazione ideologica”. Si preparava una coalizione di ampie proporzioni con i partiti cosiddetti democratici per un affratellamento pacificatore. Come “collante” non c’era che la Resistenza, capitolo manovrato da Fausto Coen, direttore di “Paese Sera”. Tanto “apprezzato” da essere sostituito, meglio, retrocesso, all’arrivo di Mario Melloni. La cattura dell’ex direttore del “Popolo” (organo ufficiale della Dc) parve ad Amerigo Terenzi (amministratore della stampa rossa, dopo essere stato dirigente di quella nera nel ventennio fascista) un grande successo. Sapendo di avere a che fare con redattori ribelli, oltre che capaci, il “transfuga” Melloni cercò subito di accattivarseli. Antonio Ghirelli, autore di bellissime cronache sportive, fu inizialmente il più blandito. “La leggo da sempre”, disse al bravo Ghirelli l’ex diccì Melloni, che, arrivando a far da spalla ai comunisti, si piccava di essere soltanto cattolico, non marxista. “Debbo dire”, aggiunse nel colloquio, “che i migliori sono vicini al Pci”. Tenuto a lungo in condizioni di stallo, Melloni divenne, come Fortebraccio, l’umorista principe de “L’Unità”. Un distillato del suo humour lo ricordo ancora: “Parafrasando un film famoso, “Dio ha bisogno degli uomini”, oggi potremmo dire che ha bisogno anche delle bandiere rosse”. Più che umorista fu preveggente. A collaborare con “Paese Sera” si offrirono intellettuali che durante il fascismo o erano stati spie dell’Ovra o collaboratori della “Difesa della razza”. L’elenco sarebbe lunghissimo. Come si fa a dire di no a chi, grazie alle famose valigette provenienti da Mosca, ti mette al riparo da preoccupazioni finanziarie? Dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria, 1956, alcuni presero qualche mese di “congedo” per rientrare al giornale a “normalizzazione” avvenuta.
MAURIZIO LIVERANI