OSTILITA’ APPARENTI

di Maurizio Liverani

Ostentando uno standard moralistico, dilettantesco e istrionico, il M5s si illudeva bastasse servirsi di slogan, palesemente derivativi, per assolversi dalle colpe della municipalità romana di cui Virginia Raggi è il pilastro. Beppe Grillo si è chiamato fuori quando la barca ha cominciato ad affondare. Il sentirsi estraneo e disambientato nella situazione che ha concorso a creare è il segno di una gran faccia tosta. Anche i cinquestelle, come gli altri partiti, tentano di restare in vita per lucrare il sovvenzionamento pubblico. Un’ansia di non essere più creduti attanaglia un po’ tutti i grillini. Per occupare la ribalta politica, un altro istrione del lamento, Roberto Speranza, con un transfert infantile, degno di una comparsa di Cinecittà, in un rivoluzionario non ancora emancipato, inveisce contro la grande ammucchiata uscita vincente nella votazione per la nuova legge elettorale. Ha spinto la sua protesta sulla soglia delle lacrime. Tanta ingenuità non è stata mai raggiunta in un’aula del potere dove tutti sanno che la politica è, da secoli, considerata una variazione del conflitto d’interessi; con ideali umanitari ci si fa strada pensando soprattutto al proprio tornaconto. Non accorgersi che, con le vene gonfie di umanitarismo, il politico di sinistra ha portato all’entusiasmo la ricca borghesia che viaggia sempre in pompa magna con il suo Gramsci all’occhiello e fa i suoi buoni affari. Una vera tradizione liberale, tollerante, aperta si manifesta a spruzzi come i soffioni boraciferi di Larderello. In piena conversione verso l’inciucio la collera di Matteo Salvini rischiava, prima del voto concordato, di apparire una perturbazione mentale. Senza gettare il guanto di sfida o una parola risentita, Matteo Renzi, preso per mano da Denis Verdini, è andato a ringalluzzirsi più a destra con i suoi ascari. I “capretti” di FI hanno servilmente accettato il ribaltone. Insomma, i ronzini del governo delle larghe intese, propugnato cautamente da Mario Draghi in questa nuova fase di conciliazione utile all’economia italiana, non hanno capito niente di quanto avveniva,  vivendo alla giornata. Bastava che prestassero più attenzione alle mosse di Draghi che riecheggiano quelle di Luigi Einaudi, il liberale che guidò l’Italia fuori dall’inflazione postbellica con una politica a volte liberistica a volte restrittiva, che oggi si spera non sia più un miraggio. Signori disincantati e di buone maniere dirigono giornali senza spiegare quello che bolle, da tempo, nella pentola del compromesso storico, fregiandosi agli occhi dei lettori del titolo di “cani da pagliaio”; pronti ad abbaiare contro leghisti, grillini, piddini, forzisti, trattati come avversari da combattere mentre i vertici dei rispettivi partiti stanno studiando la formula del nuovo corso, pennellato, si pensa, da Mario Draghi. Originale per aver compreso che la vita politica italiana deriva dalla constatazione che il capitalismo ha il senso dell’humour, al punto da far tutelare i propri interessi dalla sinistra “nominale”. Notò, tempo fa, il filosofo polacco Kolakoski che, per non “esplodere”, destra e sinistra “si sostengono a vicenda con la loro reciproca ostilità”; soltanto, finalmente lo sappiamo, apparente.

Maurizio Liverani