PANE, AMORE E… PIU’ FANTASIA

FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI

PANE, AMORE E… PIU’ FANTASIA

Dal mondo del cinema arriva un turbinio di rivelazioni. La selezione professionale non sarà più sottoposta alla classificazione politica dove prevaleva il lottizzato, cioè un personaggio che si muove con una disposizione favorevole alla sinistra. L’anticonformista sarà alieno a ogni ideologia; potrà avere anche poche idee purché non siano né di destra né di sinistra. Il credo unico è stato sempre rovinoso per le arti. Tra coloro che hanno esercitato questa “vigilanza”spiccavano intelligenti e bravazzi esponenti del Guf. Da questo regime che imponeva la tessera, il saluto romano, il “voi”, l’orbace e qualche “vinceremo” di troppo, più di un fanfaronesco “tireremo diritto”, tipi come Antonello Trombadori e Giuseppe De Santis hanno ricavato vantaggi collaborando alla rivista “Cinema” di Vittorio Mussolini. Il “ventennio” non è stato per tutti gli uomini dello spettacolo un calvario. Roberto Rossellini, esattamente due anni prima della caduta del regime, realizzò film di propaganda fascista. L’antisovietico “L’uomo della croce” precedette di pochi mesi “Roma città aperta”. Luigi Pirandello era Accademico d’Italia e non c’è alcun soffio littorio nelle sue opere. Il fascismo si accontentava di un servilismo mentale, ma non pretendeva alcun servilismo artistico. L’ironico “Mussolini ha sempre ragione” fu preso alla lettera mentre l’autore, Leo Longanesi, lo coniò con intenti sarcastici. Nel dopoguerra, da Botteghe Oscure i “vigilanti”, di intelligenza inquieta e pensiero alacre, non potendo imporre “il realismo socialista” zdanoviano hanno spinto il cinema nel recinto neorealista; il “sociale” è stato l’argomento favorito per alcuni anni. Vittime illustri ce ne sono state; in letteratura Guido Morselli che, dopo aver scritto”Il comunista” sfuggendo alla vigilanza, si è suicidato. Perché? Il caso non è stato mai chiarito. Ai festival di Venezia abbiamo constatato quanto il “danno” fosse difficilmente eliminabile; un’orgia di impegno a discapito della fantasia svuotò le sale di spettatori. L’errore dei cineasti di allora è di aver accettato il neorealismo come dogma, come principio posto. Il sinuoso intervento della politica, grazie alle sovvenzioni, ha impedito la nascita di un’industria cinematografica privata. I produttori rischiano del “loro” quando realizzano film commerciali; rischiano soldi dello Stato quando si comportano come semplici “appaltatori”. D’ora in poi, la voce dell’eterno statalismo risuonerà ancora nelle valli del cinema? 
 
MAURIZIO LIVERANI