E’ comprensibile che gli italiani non abbiano più indulgenze per la politica. Si è arrivati a un punto cruciale. Dopo anni di delusioni in compagnia di “tapini” che si spacciano per talenti politici, gli animi sono talmente indolenziti che, puntuale, arriverà la “desistenza” dal voto nel prossimo referendum. Grandi seviziatori di denaro pubblico stazionano da tempo in parlamento. Gran lanzichenecchi sono anche negli Enti e con gran faccia tosta gettano slavine e valanghe contro chi li accusa di essere super pagati. E’ consequenziale che questi sbafatori chiedano l’aiuto alla stampa e alla televisione perché difendano i loro privilegi. Con il successo del “sì” tornerebbero a essere “disutilacci” perdigiorno. Hanno un bisogno disperato di procacciarsi di denaro pubblico. Come siano stati scelti dai partiti rimane un mistero. Qualche anno fa la spiegazione più facile e più spontanea era che l’eletto “ha fatto il ’68”; senza alcuna disciplina preparatoria e senza alcun abilitante servizio, nel tumultuario ribollimento che li ha portati in vetta sono venute a galla moltissime personalità con un retroterra mediocre o addirittura nullo. Nella “pipineria” dei deputati ci sono tanti pavoncelli; ma alcuni alle schermaglie politiche hanno preferito gli ozi ben remunerati di qualche Ente alla cui presidenza sono stati dirottati quando i “camorristi” dei partiti hanno deciso che, come politici in senso stretto, sarebbero stati piccoli leader proni all’obbedienza. Già nel ’99 il presidente dell’Enel spregiò la proposta di Giancarlo Fini di ridimensionare i compensi dei parlamentari e dei manager statali. Spendendo la moneta magica dei meriti “partigiani”, impreparati a lottare contro la propria inferiorità di rango, questi manager hanno portato la loro fragrante impreparazione in Enti dai quali percepiscono cifre astronomiche. Poi ci sono i rampolli irrequieti della buona borghesia con sfizio per la “guerriglia urbana”; per gli ideali e per la causa scagliavano “molotov” contro agenti e poliziotti, naturalmente, “servi della borghesia”. Installatisi al potere spiegavano l’ingordigia di denaro pubblico con il principio che “le persone che valgono si pagano”. L’italiano si è reso conto quanto ci costano questi scippatori, non quanto valgono; sanno che hanno vissuto un’assidua presenza nelle “cajare” nei raduni barricaderi e un malcelante noviziato a fianco di alcuni “arruffapopolo” che oggi gargarizzano dalle televisioni di Stato e da quelle private. Rientrano nella shakespeariana definizione: “le zucche vuote fanno più rumore” che calza a pennello per manager e parlamentari. A questi cacciatori di prestigio vanno le lodi di sbeffeggiatori e derisori: è un “gotico”, ha “l’istinto dell’integrità”, si “distingue per compostezza interiore”. Giudizi a pera che hanno provocato una inarrestabile volontà di rimandarli a casa. Oggi sono scossi dal referendum che potrebbe sputar loro in faccia un “sì”. Non è bello, ma indispensabile.
Maurizio Liverani