di Maurizio Liverani
I cinquestelle e i leghisti hanno scelto la noia politica in attesa che la situazione internazionale si decanti, che dietro lo schermo dell’Europa Unita e di una politica conciliativa maturi, fatalmente, qualche scelta importante che metta fine a tante incertezze. L’unico che non ne ha è Matteo Salvini, convinto che non sarà mai pago fino a quando dal suolo italico ci sarà un clandestino. La contraddizione è questa: nel suo partito ospita non pochi neri con tessera leghista, ma per ridare efficienza al sistema Tito Boeri, pilota dell’Inps, si è messo come pietra d’inciampo ricordando che senza un buon quantitativo di stranieri occupati in pericolo saranno le pensioni. La popolazione italiana è ai minimi storici; ogni anno si registra un decremento equivalente al numero dei cittadini di una città media. Per esempio, due anni fa venne dato grande rilievo alla perdita di cinque milioni di abitanti, l’equivalente di una città come Bolzano. Fu il primo incontro palese con la verità della migrazione. Per debellare la recessione economica occorre una svolta in termine di super-natalità e di super-ospitalità di stranieri abilitati a un lavoro. Il ministro Salvini, detto con spirito burlesco “Dies irae”, trova disdicevole che stranieri vadano in parlamento. Gli spiritosi sono lambiti dal sospetto che con questo voglia tener lontano il malocchio. In assenza di iniziative concrete, in Europa si deride il governo italiano che agirebbe con il cosiddetto metodo “retard”: qualsiasi cosa dica o faccia Luigi Di Maio, più che governare, fa parte del paesaggio il quale, come la torre di Pisa, “pende, pende e mai non vien giù”. In tanti aspirano a prendere il suo posto; non lo si considera degno di nessuna altra carica. A questo punto può registrarsi – sintomi ancora non se ne avvertono – un’impennata degli sconfitti che, facendosi interpreti dell’allarme degli italiani per l’inerzia governativa, facciano il cammino inverso; quello che ha portato il 4 marzo al successo degli oppositori. E’ facile comprendere l’impazienza degli ex comunisti che, nel groviglio dei loro contrasti, trovano il motivo di ricompattarsi e porsi la famosa domanda di Lenin “Che fare?”. Il teorema di rileggere la storia in chiave pacificatrice non regge più; in Italia, per riaccendere lo spirito della falce e martello basta dar fiato alle fanfare della Resistenza. Il motivo è semplice: la storia torna spesso sui suoi passi. Gli errori, per ora non determinanti del governo, tra non molto farebbero risorgere di rimbalzo la solita nostalgia per l’antica politica. Le stampelle dell’antifascismo, sempre mal ferme, tornano in questi casi puntualmente utili. Spaventa la prospettiva di un aumento della disoccupazione, della riduzione dei salari, della riduzione delle pensioni. Questi sono motivi che possono risvegliare un Paese e costringere gli attuali reggitori o a cambiare completamente politica o gettare la spugna. Prima che si ridesti la “ragionata audacia”, il governo vuol dare un’ulteriore spallata al tenore di vita degli italiani. Motivi per fomentare rancori sono ancora flebili. Nel 1960 si riaffacciò l’antifascismo; contro Bettino Craxi la spallata fu data con Tangentopoli. In questi casi la cosiddetta vecchia guardia inventa un partito guerriero; le azioni astute per mettere in imbarazzo il governo ne possono nascere da tutte le parti, sia da destra che da sinistra. Tra non molto il campanello darà l’allarme.
Maurizio Liverani