di Maurizio Liverani
Per avvolgersi del prestigio che non riescono ad attingere con la loro attività politica, i fannulloni di Montecitorio ricorrono, con frequenza, al “parlar male” dei colleghi di partito. Questo avviene sia a destra che a sinistra. In piena campagna elettorale gli strali vengono lanciati contro l’avversario. E’ stato facile per un Matteo Salvini essere stato “impetuoso” nell’affrontare situazioni violente. Calato il sipario su noiosi dibattiti elettorali, il trillatore politico che aspira alla poltrona parlamentare si rende spiacevolissimo con un linguaggio da trattoria verso il collega di partito che può intralciargli il cammino. Sino a qualche anno fa nei salotti “feltrinellizzati” queste ingiurie avvenivano in begli ambienti e finivano spesso con grandi risate perché a un certo punto i duellanti si sentivano snobisticamente stanchi di sentir parlare di se stessi come di qualcosa di essenziale. Sbarrati i salotti ai politici, i “gaglioffoni” erano passati a duellare e a coprirsi di insulti nelle bettole. Le voci, scacciate da dove erano più proclive al sottile sarcasmo, tornarono in trattoria e le mandibole macinavano abbacchio e cosce di pollo mescolandoli al morso della maldicenza dove installavano un gran puttanamento di parolacce che insaporiva di buonumore gli astanti. Ora tutto è cambiato. Si può anche sentire un leghista parlare come se bazzicasse con gli oppositori pur di mettere in cattiva luce il collega di partito. Sono segnali non rilevanti; nelle singole fazioni, per ragioni di carriera o di poltrona, non ci si serve di argomentazioni e di vasti pensieri. Che i politici manchino di preveggenza è cosa nota; i nuovi cercano di parare i colpi che li attendono dimostrando di avere una visione globale della situazione. Parlano degli errori degli avversari e ne approfittano per svillaneggiare i correligionari con i quali dovrebbero aver trovato, già da tempo, la “quadratura del cerchio”. Negli anfratti di FI si bisbiglia che Silvio Berlusconi sia il meno imbronciato tra gli alleati perché già intravvede il fallimento di una destra unita soltanto dai rancori. L’idea di sottrarre adesioni al raggruppamento avverso infervora i veri berlusconiani a tal punto che, proprio in questa fase, cinquestelle e Lega attraversano un “periodo infecondo”. La ricerca di “oscene promiscuità” con partiti considerati per tanto tempo nemici da combattere ci mostra una classe politica come una specie di calcomania strategica o di parodia tattica. Sotto i casi particolari bisogna cogliere la regola generale. La politica, infischiandosi del M5s e della Lega, è prigioniera del solito accappatoio; il nuovo è sempre il politicare prolisso e gesticolante, ma in fin dei conti innocuo “enfant terrible”. Salvini sbertuccia Di Maio, il compromesso storico è sudicio e brutto; ma è terapeutico se si fa subito e, in questo caso, persino comodo. L’insistenza nel volere un’intesa con il Pd non può non sorprendere. Perché insistere a voler essere pappa e ciccia con il partito che, dal canto suo, vuol fagocitare tutti? Sin quando il presidente della Repubblica non rinuncerà alla riservatezza, il frutteto dei partiti si ridurrà a una distesa di tutti i sapori e i politici continueranno a sentirsi mediocri e insapori.
Maurizio Liverani