di Maurizio Liverani
Giuliano Pisapia si è amalgamato con la politica con il cattedratico fervore di un capocellula universitario. E’ convinto che i suoi contestatori sono afflitti dalla vitalità delle cose morte che non vogliono lasciarci e nell’insieme formano una noiosa invadenza nella nostra vita sino a soffocarla. Pur di non cadere nella trappola ben congegnata sin dal dopoguerra, i nostri connazionali, barcamenandosi ora a destra ora a sinistra, si appassionano ai grandi temi tanto per intrattenersi emotivamente e verbalmente e conquistare i titoli delle prime pagine. Ormai ci siamo accorti come l’Italia non sembri popolata da persone, ma, soprattutto in politica, da emblemi. I rapporti tra questi differenti emblemi sono tessuti di un odio e di un rancore che non permetteranno mai una efficace azione solidale. Si improvvisa “palabra orientadora” Giuliano Pisapia da quando Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, sul quadrante della storia, sembrano dei sopravvissuti, dei naufraghi, dei mutilati. La stampa nostrana ha, per loro, soltanto qualche granello di carità. La malinconia è raccolta nel volto di Bersani. Molti suoi colleghi di partito cominciano a essere perplessi; si domandano (dopo aver cercato di scorgere nel suo volto da pupone invecchiato qualche piano ambizioso) se non sia vittima di una sorta di atonia della mente. Non c’è dunque da sorprendersi se Pisapia approfitti del momento favorevole; se ancora dalla sinistra possa uscire, come da un limone spremuto, lui goccia che si può fregiare della fama di “uomo nuovo”. Dai suoi discorsi si ricava un senso di fiducia, quello non più offerto dalla vecchia guardia passata di moda, fuori tempo massimo che non può nemmeno giocare la carte del “grande vecchio”. Una civetteria che questi residuati hanno cercato di condividere con Ciriaco Pomicino, il quale è pur sempre sorretto da una grande vanità. Di qui nasce l’acredine verso Matteo Renzi, la loro sufficienza. Su quali basi riposerebbe la loro “superiorità”? Ogni generazione di politici rivela con il tempo la sua parte di ridicolo. Non riescono a darsi neppure l’aureola dei “super partes”; sono figure anemiche, essiccate, l’ombra di idee, eventi scaduti al confronto, come ripete spesso il giannettino del momento, con il mondo nuovo. Che cosa sarà questo mondo nuovo, annunciato da quasi un secolo da politici spremuti dal tempo, non si sa. Non vorremo che fosse lardellato delle nefandezze che rende legittima da parte degli italiani la richiesta di un risarcimento. Se in Italia c’è stato un passato oscuro, la causa è da ricercarsi nelle efferatezze del cattocomunismo dal quale si distaccano con esitazione scoraggiante soprattutto i giovani. E’ poi vero che questo passato sia così oscuro? Nel bene e nel male (più nel male) ci ha “regalato” una democrazia con la speranza di una durevole e civile convivenza. Se poi questi moventi sono stati svisati e traditi, se in moltissimi ci sentiamo ingannati, tutto ciò non può distruggere la nobiltà e la generosità del primo impulso al quale Pisapia vuol rifarsi. Ci illudiamo che questo sia il suo intento. Saremmo degli sconsiderati, degli ingenui; per il momento la delusione può attendere.
Maurizio Liverani