di Maurizio Liverani
L’incubo di questi malconci partiti è, ancora oggi, una chiamata alle urne. In un momento pieno di incognite è preferibile prendere tempo. Donald Trump si è fatto riprendere mentre recita gesti affettuosi verso il presidente della Corea del Nord, mimando in maniera grottesca una passione irresistibile. La stampa e le televisioni hanno dato risalto a queste effusioni in cui Trump ricorda il grassone di “Stanlio e Ollio” preso dal richiamo dei sensi. In pochi giorni i due Stati vanno d’amore e d’accordo; non è un’inversione di rotta, ma un gioco astuto per far intendere che non c’è alcuna volontà di ricorrere alla guerra atomica. L’aspetto singolare di questa fase politica internazionale è che i capi partito sfrigolano avversioni e disgusto verso i colleghi della stessa fazione. Lo stesso fenomeno si registra anche nei partiti italiani. Nel Pd un certo Calenda si atteggia come l’uomo del faro in mezzo al mare più turbolento. I predecessori sono stati rottamati fino a renderli inservibili. Non cita mai, ad esempio, Nicola Zingaretti il quale pare sia stato designato segretario del partito e come tale si atteggi vestendosi elegantemente per far dimenticare che la sua origine sarebbe (è poi vero?) la classe operaia. Pare si sia rifatto ad Abramo Lincoln il quale ha lasciato detto che “la democrazia non consiste nell’eleggere un capo, ma nel saperlo riconoscere”. L’imbarazzo sia di Calenda che di Zingaretti è che non sono visti come frecce direzionali di un partito apparse nel momento giusto, ma emergono da un’orgia di invidie e risentimenti. Tutti hanno timore di incarnare uno spirito di rivolta. Nelle vie melmose della tattica parlamentare c’è posto soltanto per gli insulti; l’esibizionismo rivoluzionario ha ceduto il passo a un radioso avvenire. La grande stampa non esita a definire gli usurpatori, Salvini e Di Maio, come il vero pericolo. Nelle loro file non vediamo alcun vulcano ideologico, da loro il Paese non ha nulla d’attendersi; chi li ha votati non si adonta che vengano trattati come “utili idioti”. Le stimmate della democraticità devono essere sempre in mostra. La simulazione è entrata a tal punto negli ex rivoluzionari che, per autosuggestione, credono sul serio di essere democratici; offesa massima è “populismo”. Il grave imbarazzo che i partiti procurano ai pochi iscritti è che le loro ideologie, risultate fasulle, prima erano viste come religione e oggi non danno più l’illusione di essere nate sotto il segno giusto. Le celebrazioni non possono essere più presentate come una lotta nazionale per la libertà perché la classe industriale che aiutò il fascismo non può essere più additata al disprezzo da quando aiuta tutta la politica, da sinistra a destra. La gioventù si guarda bene di identificarsi con i partiti dell’avvenire. L’affrancamento delle nuove generazioni da dottrine divorate, abortite, archiviate dalla storia è causato dal fatto che sono ingombranti e noiose. Le formazioni sindacali, ha scritto sul “Corriere della Sera” Angelo Panebianco, hanno esaurito la loro funzione. Evento tanto atteso perché utile all’Erario. I sindacati non incantano le nuove generazioni che sanno che da loro non hanno nulla da attendere.
Maurizio Liverani