di Maurizio Liverani
“Ogni volta”, ha ricordato André Gide, “uscivo di lì (le riunioni del partio comunista, ndr) indolenzito, l’intelligenza contusa come dagli stivali di tortura”. Seguendo quello che avviene oggi nel Pd si prova l’identico fastidio. La lotta per conquistare le posizioni di prestigio per essere eletti alle prossime elezioni è condotta da desposti infuriati con il mondo perché non si obbedisce loro all’istante. Chi non conquista la “poltrona” ha il volto cupo e disfatto di chi è follemente innamorato di una eterosessuale con propensioni dionisiache. Detesta a tal punto il genere umano da essere portato a credere che tutte le parti sono nel giusto purché si odino reciprocamente. E sempre con l’aria di chi suona la campana a martello ai nemici. Ormai si è persuaso che il comunismo è morto e quello che rimane conosce una prolungata agonia. Le religioni non hanno più presa nelle menti evolute perché non hanno più il potere di consolare l’umanità che dubita persino nell’esistenza di Gesù o che sia veramente morto sulla croce. Marx è stato un tentativo di sostituirsi alla mancata realizzazione di ideali cattolici. Non ha vinto il “Capitale”; è prevalso, invece, il capitalismo che se è uscito sano e salvo e la sua “barbarie” sopravvivere. E così si assiste a un revival con politici che hanno una sola ambizione: “la poltrona, primo amore”. In Italia siamo arrivati a un punto cruciale: dopo anni di delusioni in compagnia ripugnante di tali politici, gli animi sono a tal punto indolenziti che per evitare la fine dovrebbero scendere in campo. Lo sfacelo del Paese, negato nei discorsi, ignorato nei commenti, è però leggibile sui volti dei politici e su quello del capo dello Stato. Ci vuol poco a capire che verso questi podagrosi argheologi in adorazione delle loro spente idee, i cittadini, pur continuando a votare, hanno ormai accumulato una violenta avversione. Non basta più mettere l’iniziale maiuscola a qualcosa che difetta di sostanza per conferirle una garanzia immunitaria e per prendersi gioco degli italiani. Oltraggiosamente imbellettati di parole come “democrazia”, “uguaglianza”, “lavoro per tutti”, “progresso” per adescare adesioni, i politici sono immersi nella grande cilecca. L’inarrestabile scialo di frasi fatte, di schemi fissi, di luoghi comuni ha consentito ai partiti di praticare su larga scala la truffa delle idee, ma il paravento della democrazia che giustifica tutto è caduto. La maggioranza degli italiani trova “disonorante” la politica attuale. Per ottenere questo bel risultato ci si attiene a principi di estrema villania; a volte le polemiche interne nel Pd assumono accenti da bettola. Tra di loro, gli iscritti si chiamano a vicenda persino fascisti, forse non dimentichi che il socialismo del fascismo è sempre stato il vivaio. Il riciclaggio dei partiti come è stato concepito per sopravvivere, invece di proiettarci nel futuro, ci restituisce al passato. La politica così intesa, se non ci sarà un ravvedimento generale, è una trascendenza verso il basso.
Maurizio Liverani