di Maurizio Liverani
La smania di restare a galla a ogni costo è la bussola di tipi alla Romano Prodi anche quando la nave affonda. Prese le distanze dalla casa madre, cercando di scavare un solco ideologico tra sé e Matteo Renzi, Prodi trova, oggi, una animalesca felicità, un ritmo festoso riavvicinandosi all’antico avversario. Ha giocato per qualche tempo la carta dell’amico-rivale; ha ridato fiato alla sua polivalenza riaccostandosi al Pd con l’aria di chi offra il carico della sua autorevolezza. Giù il cappello, vien voglia di dire. La polivalenza di Prodi è di alto conio; per dimostrare che è sempre capace di sublimazioni teoretiche ha rilasciato dichiarazioni sostenendo che la sinistra, per restare unita, ha bisogno di personalità come la sua. In breve,” premier trombato, alleato ritrovato”. Non si offenderà Prodi se lo paragoniamo a quelle cipolle bollite che tornano utili pur non essendo indispensabili per un buon piatto. Qualsiasi posizione prenda, il simpatico “trovatello” della politica italiana non appartiene al ramo dozzinale del partito. E’ stato richiamato come persona di fiducia per svolgere funzioni non soltanto contabili, ma per avere possibilità di divenire un premier altamente specializzato a tenere rapporti con la grande industria. Chi pensava che fosse finito nel cestone dei “rottamati” si ricrede. Prodi è legato allo strapuntino di Montecitorio come Prometeo alla sua roccia; la sua è una collaborazione speciale. La parlamentarietà semplice e pura è, per lui, poca cosa. E’ smaniosamente cercato quando c’è da conferire a un uomo di sinistra un’aura particolare, da “esempio”. Esempio di fedeltà alla sinistra che a fasi alterne lo mette ancora sotto il fuoco dei riflettori. La grande astuzia –ma sì, intelligenza- è di riuscire, agli occhi dei gonzi, come rappresentante di un patrimonio di acume economico che il Paese non può concedersi il lusso di trascurare. Intelligenza –ma sì, astuzia- per capire che sulla realtà contemporanea non bastano le cannonate delle recessioni. Renzi gli consente così di prendere le distanze scavando un solco ideologico tra lui e D’Alema. Prodi ha passato giorni e giorni a meditare una rivalsa; quando era in odore di premierato non si trascurava occasione, da parte di chi gli era ostile, di escogitare nuovi “distinguo”. A questi nemici intimi rispondeva con traslati per far intendere di avere le risorse per riciclare se stesso e il partito. Rimase impietrito quando, anni fa, il patriarca “biblico” del Polo sembrava fornicare con la badessa D’Alema, sacrificando agnelli e buoi “ulivisti”. Come può essere? Si chiedevano costernati anche i cossighiani. Con un gesto pieno di sarcasmo, Prodi replicò: “sono loro che ci cercano”. La cosa finì lì, ma tra i maggiorenti dell’ex democrazia cristiana Romano è sempre stato il più pronto all’assalto che D.H. Lawrence chiamerebbe “hate effusion”. Una “effusione” d’odio contenuta nel postulato cardine della sinistra: “come si fa a non candidare chi porta voti?”. Soffrendo di un complesso di inferiorità, Prodi ha trovato di nuovo l’antica spavalderia proponendosi come un “jolly” nella sinistra di Renzi.
Maurizio Liverani