di Maurizio Liverani
Da quando Umberto Bossi è stato abbandonato da Irene Pivetti emana un sapore di inconcludenza. Era ricorso a lei perché gli parve un’ottima procacciatrice di consensi. Quando Irene lasciò la Lega, l’Umbert “promise” che avrebbe spedito il suo cadavere al Papa. Di solito i politici vengono mandati, sprezzantemente, in varie località e direzioni; mai dal Santo Padre. L’Irene come presidente della Camera fece riaprire la cappella all’interno di Montecitorio, dimenticata dai democristiani. Il più lesto nel prenderla sotto la sua ascella protettrice fu Clemente Mastella che in lei vide riassunto il quadro clinico della donna depressiva sì ma onesta e volonterosa. Stanco di fare il “ragazzo di bottega” di Francesco Cossiga, con Irene cercò consonanze sia a destra che a sinistra. Oggi, come battistrada della destra, Clemente si candida a Benevento; per ampliare la propria personalità ci sono altre zone dell’Irpinia. Ha bene in mente che la Dc, nel ’48, era riuscita a incontrare tanto perché i genitori di questo partito “ballerino” sono stati la paura del comunismo e il crollo dell’idea nazionale. Come tutte le donne ambiziose, Irene Pivetti fissò la sua svolazzante volontà di primeggiare nel mondo politico “mastellizzandosi”. Oltre alla riapertura della chiesetta a Montecitorio, fece offrire il cappuccino alla buvette agli onorevoli che andavano a pregare. Segno evidente che era più legata al potere romano che a quello del Carroccio. Per il suo approdo nel centro sinistra mastelliano – essendo rigorosamente trasformista – pretendeva di occupare una poltrona “asessuata” vale a dire un ministero importante. Le truppe “mastellate”, per giustificare la pretesa di Irene, tennero molto a far sapere che l’allora signora Brambilla veniva dalla scuola di tanti Don: Sturzo, Milani, Franzoni, Bosco. Si fece anche presente che in lei allignava più di un pizzico di Giovanna D’Arco. Il suo fine illuministico era quello di lenire le sofferenze. Dette tanto sui nervi ai “fannulloni” di Montecitorio che fu “destinata”, come si diceva sotto il Fascio, “ad altro incarico”. Per anni si è data alla latitanza e allo spettacolo. Improvvisamente, Matteo Salvini, che è in rotta da tempo con Umberto Bossi, la “beatifica” candidandola a sindaco di Roma. Si è rifatto a Matteo Renzi nel ridare vita a una regola dimenticata: aprire alle donne.
Maurizio Liverani