SILVIO BENEDETTO RACCONTA SE’ STESSO
PUNTO MUERTO Alle ore ventuno del ventunesimo giorno del ventunesimo anno del ventunesimo secolo.
Negli anni ‘70 fui invitato dal Dipartimento Cultura a conoscere Canaima nell’Amazzonia Venezuelana. Dopo l’azzardato superamento del “Paso del Ángel”, poco oltre la cascata più alta del mondo, mentre la voce del pilota raccontava della quantità di morti che l’attraversamento di quella stretta gola rocciosa aveva comportato negli anni, il bimotore ufficiale atterrò: proprio, letteralmente, tra la polvere.
Con ancora l’immagine di qualche carcassa d’aereo vista là sotto tra le rocce, scendemmo al villaggio Ciudad Bolívar. Per mal tempo imprevisto non si poteva ripartire ed il pilota, immancabilmente ridendo, disse: “Punto muerto”.
Lo squarciante urlo di un maiale ci preannunciò che lì, inderogabilmente, avremmo dovuto passare la nottata. Lo avevano sgozzato, in mancanza d’altro, come cena improvvisata per noi, una dozzina d’ospiti. Imprevisto, forse anch’esso arrangiato, l’alloggio dalla cui finestra vedevo il rosso, blu e giallo che vestiva di pomposità gli aras reales (guacamayas) mentre attendevo il chiarore del cielo.
(Qualcuno spifferò che il “maltempo” era un’escamotage ricorrente).
Guardiamo dalle finestre anche in questo gennaio 2021, nella Roma di questo punto muerto, di mala tempora, di Pandemia Covid, di escamotages e crisi di governo.
Attraverso i vetri vedo il veloce toccata e fuga dei passerotti cercatori di mollichine, il sincopato volo scrutatore delle cornacchie, il severo puntare dei gabbiani, dall’alto dei cornicioni, su piccioni pesantemente decollanti in attesa del loro distrarsi nel corteggiare tra i davanzali; vedo e ascolto il disordinato chiacchiericcio piroettante dei pappagalletti (los loros) con la loro praetexta verde più modesta della toga imperiale di quegli aras-pappagalli venezuelani.
Attraverso un altro più piccolo rettangolo mi giunge, disordinato anche ma meno allegro, il chiacchiericcio impregnato di malafede di alcuni fuorvianti politici, pure loro in toga e in punto muerto.
Il nostro punto muerto in quest’epoca della morte della partecipazione consiste nel non poter reagire, non poter varcare zone colorate di tristezza, nell’essere costretti ad attendere “quando arrivano” in questo deserto creato dall’uomo.
Chiudiamo le finestre e il sipario della memoria e continuiamo a scrivere, dipingere e progettare allestimenti teatrali, con la solita enfasi pur nell’amara esclusione dall’enfasi dell’azione.