QUEL GRANDE RUOLO AGOGNATO DALL’ITALIA

di Barbara Soffici

Dopo lo tsunami Brexit, tutti sono stati concordi nel valutare che l’Europa sarebbe stata più disposta a iniziare un rinnovamento condiviso, non più a leadership teutonica. Renzi, consapevole dei vantaggi che avrebbe potuto ottenere il nostro Paese, pronto ad aumentare il suo peso politico, ha propagandato il ruolo dell’Italia nel rinnovamento dell’Europa, mentre quest’ultima, divisa sul da farsi, continuava a rinviare le decisioni, non volendo una rottura definitiva con il Regno Unito. Intanto il risultato della Brexit innescava degli effetti rovinosi sulle Borse, specie su quella italiana grazie al crollo dei  nostri titoli bancari. I governatori delle Banche del G10, a Basilea, per evitare il collasso, hanno subito programmato una strategia anti-speculazioni (ipotizzando anche una rete di sicurezza europea per proteggere gli istituti bancari) con operazioni di liquidità addizionali per  rispondere all’aumento dei costi di finanziamento per le banche. Il timore che le incertezze dell’Europa potessero riversarsi per lungo tempo (è stata prevista una instabilità di almeno tre mesi) sul sistema bancario, il Direttore della Banca dei regolamenti internazionali (Bri) da Basilea aveva invitato i governi a sostenere la politica monetaria “con politiche prudenziali, fiscali e strutturali” per contenere l’incertezza e l’aggiustamento post Brexit e le banche centrali a monitorare e a contenere i sistemi finanziari con maggiori dotazioni di liquidità, per mitigare la volatilità dei cambi e supportare il finanziamento degli istituti di credito. L’Italia, delusa per aver ottenuto un seggio “dimezzato” (solo per il 2017) nel Consiglio di Sicurezza (nel 2018 lo dovrà cedere all’Olanda), ha iniziato subito a trattare per rafforzare con i soldi pubblici il sistema bancario (capitalizzazione dei crediti deteriorati) senza far cadere la tagliola del bail-in. Così è partita nuovamente la richiesta di sospensione del divieto sancito dall’Intesa sull’Unione Bancaria (2014) di far intervenire gli Stati nelle ricapitalizzazioni delle banche con patrimonio insufficiente. Ovviamente la Germania ha subito frenato sulla possibilità di intervenire con i soldi pubblici in protezione delle banche, senza applicare le regole europee del bail-in, ha continuato ad ostacolare il perfezionamento dell’Unione Bancaria con la garanzia comune sui depositi. Per qualche tempo si è creduto che la Commissione europea fosse disposta ad aprire sulle regole, fosse disposta a concedere una certa flessibilità non solo per stabilizzare il sistema europeo, ma anche per andare incontro alla tedesca Deutsche Bank, in difficoltà per i derivati. Renzi si era perciò illuso che, per una volta, riuscisse a prevalere la politica sull’economia. Mosso da entusiasmo, il nostro premier è arrivato a proporre anche il trasferimento dell’Autorità bancaria europea e alcuni istituti finanziari da Londra a Milano; ha pensato di rendere attrattivo il nostro Paese, di invogliare gli investitori esteri con l’apertura di una “finestra fiscale temporanea”, senza considerare che il principale problema in Italia è il funzionamento della giustizia che ancora non assicura tempi rapidi, chiarezza delle norme, certezza del diritto. La doccia fredda è arrivata quando la Commissaria alla Concorrenza ha dichiarato che l’Italia non è in presenza di un “collasso imminente” del suo sistema finanziario, per cui non è possibile invocare quelle “circostanze eccezionali” che permetterebbero la sospensione del bail-in. Di conseguenza, se lo Stato italiano deciderà di utilizzare i soldi pubblici a favore degli istituti di credito, dovrà imporre perdite ad azionisti ed obbligazionisti (l’Europa  è infatti disposta a riconosce solo la possibilità di un parziale rimborso per i risparmiatori colpiti). Mario Draghi avverte che in circostanze eccezionali il salvagente finanziario pubblico è necessario, quando non funziona il mercato dei crediti deteriorati. La Ue invece è sicura sulla riuscita delle operazioni di mercato. In realtà la Commissione europea sta attendendo, con impazienza, che l’Italia provveda a una ristrutturazione del proprio sistema, per renderlo “più piccolo, più forte e più redditizio”. Ristrutturazione richiesta, a gran voce, anche dal Fondo Monetario Internazionale che ha posizionato l’Italia tra i Paesi “più lenti” dell’Eurozona. Tutti sono in attesa di vedere quali saranno le prossime mosse del governo. Certo è che, a una settimana dalla pubblicazione del cosiddetto “stress test” sulle banche europee, l’Italia non ha ancora chiarito come intenderà intervenire per gestire lo stock di sofferenze e la ricapitalizzazione del Mps. Slitta così, sempre più, la possibilità che l’Italia possa  ricoprire “un ruolo” più importante nella riforma della Ue e sul suo futuro.

Barbara Soffici