di Maurizio Liverani
Da Walter Veltroni possono venire sempre delle sorprese; ad esempio, che, vista la gran farsa politica italiana, si possano scombinare i piani della destra e della sinistra e fare dei due avversari una coalizione. I chierici devoti alla religione stalinista sono perplessi perché lo sanno dotato di humour. E’ la grande risata che impensierisce seriamente i bersaniani e i dalemiani; tra tutte le rivolte quella dello spirito è la più micidiale. Antonello Trombadori era un grande amico di Ennio Flaiano; lo considerava alla stregua di un compagno di carattere dispettoso pur sapendo che l’ispiratore de “La dolce vita” dicesse ripetutamente: “Non ho letto Karl Marx, ma sono amico di Antonello Trombadori”. Gli antirenziani rappresentano l’oppositore moderno: nonostante gli sforzi di apparire tolleranti e comprensivi, sono torturatori dei dogmatici, capaci di esulcerare gli animi. Con loro si muore di noia per quell’insistere nella distinzione destra e sinistra, fino a qualche tempo fa pittoresca; oggi non ha più un buon odore. La sinistra della sinistra è un gromerulo putrescente privo di grandi personalità. Veltroni è uscito dall’immenso lager stalinista, ma fa capire che potrebbe tornarvi portandovi il suo buonumore, però pretenderebbe di trovare sistemazione nei ruoli delle celebrità. I suoi compagni temono il suo probabile aggancio a Matteo Renzi. Walter fin da ragazzino si è schierato a sinistra, con un’aria un po’ frivola; ha, però, una colpa: quello di essersi accorto tardi, o ha finto di non accorgersi, di come sono andate le cose nel comunismo mondiale. Se avesse avuto gran sete di verità avrebbe scoperto, lui come scrittore, l’inganno del comunismo in libri famosi: “La fattoria degli animali” e “1984”; libri che ancor oggi si leggono, mentre di Stalin si ricordano soltanto le bischerate. Veltroni ha scelto un singolare modo di “soffrire” per le proprie idee; da ministro dei Beni Culturali rilasciò una dichiarazione scandalo: “Se avessi saputo non sarei mai diventato comunista”. Privandosi della memoria -“non sapevo”- vuol dire che era ancora in fasce nel ’56 quando Mosca invase l’Ungheria, ma non nel ’69 quando l’Urss straripò con i suoi tanks in Cecoslovacchia. Fummo costretti a concludere che si è trovato in un ingranaggio di cui non conosceva le origini? Una mistificazione paragonabile a quella di chi nega l’esistenza dei lager nazisti. Un ministro della Cultura così ignorante non si sarebbe mai visto; possibile che non abbia mai letto “La mise a mort” di Louis Aragon (comunista nel ’27), un romanzo autobiografico che chiude, a proposito del fallimento tragico del comunismo, così: “Avevamo un bel profetizzare la tragedia. Chi poteva immaginarla a casa propria… noi lì pieni di terrore e di rivolta”. Si riferiva ai famosi fatti di Ungheria; sposato con Elsa Triolet, scrittrice di origine russa, conobbe bene l’Urss. Walter è dunque un ex che si riconosce il diritto (diritto che negò agli altri) di sbagliare perché non sapeva. La storia non è, evidentemente, il suo forte. In sostanza, ha ignorato per anni tutto dell’Unione sovietica. Questa lacuna non suggerisce lampi ironici ai moralisti principe. Per paura di passare per una banderuola, D’Alema è arrivato a dire che il teorico di Treveri, Marx, “non va più”, è come un abito smesso. L’onestà dell’intellettuale dimostrata dai leader dei postcomunisti era, dunque, quella di una lavatrice in cui va la biancheria sporca.
Maurizio Liverani