FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI
ROMAN POLANSKI: UN CINEASTA DAVVERO SCOMODO
“Le storie dell’orrore – disse Roman Polanski in una intervista che mi rilasciò nel 1969 per ‘Il Dramma’ – mi sembrano fatte apposta per apprezzare meglio la vita tranquilla e vincere le nostre piccole paure, come attraversare la strada a un semaforo”. Dieci anni dopo, l’autore di “Rosemary’s Baby” si macchia di una colpa. La “voga strozzatrice del cinema di sesso” – per usare una elegante espressione del critico Leo Pestelli – aveva colpito lo stesso Polanski che, di ritorno dal festival di Taormina, trovò la moglie Sharon Tate sgozzata dall’”omo neo” Mason, capo di una setta di ribelli fanatici di Woodstock, località a centocinquanta chilometri da New York in cui si è tenuta, nel 1969, una grande manifestazione di musica pop e rock, ricordata negli annali del ribellismo giovanile come simbolo di rinnovamento dei costumi sociali. Ai tabù tradizionali subentrò, da allora, la permissività più criminale. Da allora, periodicamente, trionfa la negatività. Lo stupro è visto da certi gruppi anarchici e da singoli psichicamente tarati come lo sbarco in un’isola fuori dal mondo. E’ strano che proprio Polanski, oggi autenticamente ravveduto, sia considerato il vessillifero, a torto, della liberazione sessuale. La colpa è stata anche della critica che ha avuto le stesse intonazioni in tutto il mondo. “Rosemary’s Baby” venne salutato con queste espressioni: “prodigiose variazioni su un tema gynecological gothic” (Newyorker); “capolavoro di suspense su una gravidanza difficile” (Nouvel Observateur). Che cosa narra questo film che fece tanto scalpore? E’ come una pentola a pressione in cui borbottano i più sinistri segnali della stregoneria. “La sola differenza”, commentò il regista, “è che le streghe, oggi, vanno al cinema invece di volare sui manici di scopa e non finiscono più sul rogo”. Va detto che Polanski è stato a lungo paparazzo a Roma; parla perfettamente italiano ed era amico di Federico Fellini. Figlio di polacchi è, però, nato a Parigi. Per il film “Repulsion” aveva voluto Catherine Deneuve; voleva essere considerato regista di espressione francese. Qualche anno dopo, però, sparò a zero sul cinema parigino (risparmiando soltanto l’amabile Truffaut). Di sé Polanski disse: “Mi difendo. E poi a furia di sentirmi dire che ho talento, ho finito per crederci. L’importante, a Hollywood, è impedire che la grande, meravigliosa macchina ti schiacci. Per questo una regola : essere esigenti”. Lo spettatore, ogni volta che vede un film di questo regista, si convince che alla fine in questo mondo non si è più tanto sicuri e si trova come un equilibrista sul filo instabile dell’angoscia. Tutta la vita di Polanski è un “thriller” agghiacciante al cospetto del quale quelli di Hitchcock sono saggi di bella calligrafia. Contro la sua volontà di “buon diavolo”, divenuto un “cattivo maestro”, è, oggi, un gigante dello schermo. Estimatore di Emil Cioran che lo metterebbe tra gli autori che “ci parlano di noi stessi”.
MAURIZIO LIVERANI
—————————————————-
GLI AFORISMI DI OGGI:
Insomma, l’eco rende tutti meno anemici moralmente: ci regala un momento di gloria prima che nuovamente la pagina nazionale si scolorisca.
Gli italiani, che di solito leggono poco, corrono a comperare le opere del defunto cui si attribuiscono questi onori; la lettura può strappare dal flusso indistinto del video.
Chi detiene il potere e, inconsciamente, demolisce nobili aspirazioni morali tira un sospiro di sollievo ed è contento di rendere grande omaggio al “caro estinto”.
Chi non è toccato dalla sua grazia e non è diventato un fratone della sinistra è coperto di malevolenza.
Vittorio Alfieri scrive che l’Italia è piena di “letterati a impulso artificiale: scrivono solo per arricchirsi”.
L’importante è il lasciarsi “portare” da chi detiene il potere.
MAURIZIO LIVERANI
(Aforismi dai libri “SORDI RACCONTA ALBERTO”, “IL REGISTA RISCHIA IL POSTO”, “AFORISMI SOSPETTI” e “LASSU’ SULLE MONTAGNE CON IL PRINCIPE DI GALLES” di Maurizio Liverani)