SANSEPOLCRISTI E PARTIGIANI

di Maurizio Liverani

“Siamo talmente abituati a vivere nell’attesa, a puntare sul futuro o su un simulacro di futuro che abbiamo concepito l’idea dell’immortalitĂ  solo per un bisogno di aspettare per tutta l’eternità”. Questo afferma Emil Cioran nella sua raccolta di aforismi “L’inconveniente di essere nati” e proprio a Cioran ci riporta un articolo dal titolo “La televideo cultura” e il film “Ricordati di me”: “specchi di una societĂ  vittima della tivvù”. Ormai, da anni, un sentimento di estraneitĂ , di gioco inutile attanaglia noi italiani. Ma in tutti i campi, politica, letteratura, religione fingiamo di interessarci a tutto ciò che ci è indifferente. Si annuncia la nascita di una nuova era e ci troviamo immersi nella ripetitivitĂ ; questa è una condanna che affligge il nostro Paese, illuso di essere importante mentre si vanta delle conquiste e dei vantaggi ottenuti in secoli passati. Oggi, per sostenere un referendum, si scomodano addirittura i partigiani. La ministra Boschi fa l’elogio di questi eroici combattenti e nello stesso tempo, scanzonata com’è, allude al loro numero artificialmente aumentato dai partiti che di loro hanno bisogno. In molti si sono scandalizzati, ma la bella ministra, sfidando l’opportunitĂ , ha detto quello che in tanti sappiamo. Molti di noi sanno come siano stati considerati partigiani, grazie ai soliti giochetti burocratici, anche migliaia di aderenti alla Repubblica sociale italiana. Il trasformismo è una virtĂą che ci contraddistingue. Mussolini, preso il potere, ebbe la curiosa idea di insignire di particolari meriti alcuni fascisti definendoli “sansepolcristi” perchĂ© avevano partecipato alla riunione tenuta a Milano (Palazzo degli Esercenti, in piazza San Sepolcro) il 23 marzo 1919 per la fondazione dei Fasci italiani di combattimento. La massa di questi “sansepolcristi era esigua; affermatosi il regime, da pochi centinaia divennero migliaia. Il contentino era stato dato a tanta brava gente che voleva apparire piĂą fascista del semplice fascista. Finita la guerra, i “vantoni” uscirono dalla scena poi occupata dai veri e dai simil – partigiani, con contrapposizioni sterili e infruttuose. Si pensava che l’essere partigiani fosse una norma fondamentale di vita, una forma di puro soddisfacimento dei propri interessi e del proprio tornaconto. Un futuro radioso, secondo questa norma, attendeva il combattente. Svanito questo futuro si è entrati in uno stato di autoriproduzione. PiĂą che combattenti, animati da ideali, quelli che sono sopravvissuti somigliano a granchi che per abbellirsi si riversano di alghe. Il passare degli anni ha fatto il resto.

 

Maurizio Liverani