“Dietro alle Brigate rosse c’è Yalta, vale a dire gli interessi internazionali convergenti di due super-Grandi che vogliono che nulla cambi in Italia”. Questo scriveva Leonardo Sciascia, di cui ricorre il trentennale della morte. Se fosse vivo, oggi, avrebbe la conferma delle sue intuizioni. In pieno clima di repressione ideologica, Sciascia era un vigilato speciale, tenuto in quarantena come un disonore del Paese soltanto perché refrattario alla uniformità di opinioni. Sosteneva che “la mafia funziona così bene da controllare persino l’Antimafia”. Concorre al Campiello con il suo bellissimo “Candido” (ed. Einaudi); un racconto che toglie la voglia di stimare il Pci, come i libri che trattano della natura tolgono la passione per le passeggiate. E’ pervaso da uno humour che scuote qualunque fede nella speranza. Dà ragione, in un certo senso, a Chamfort quando questi scrive: “Appena cessa la speranza si comincia a vivere”. Sciascia rinnova, nel racconto, l’omaggio al Pci del suo disprezzo così espresso: “La crisi del Partito Comunista è certo tragica e, direi, disperata… L’Eurocomunismo, secondo me, ha un solo segno comune; lo sforzo di evitare il suicidio cui i Partiti comunisti sono chiamati”. Lo scrittore si era fatto “portare” dal Pci a Palermo; non obbedì all’avvertimento di Alberto Savinio il quale diceva: “La politica espelle l’intelligenza come un corpo estraneo”. Ingannato nelle sue attese, Sciascia uscì molto presto, inseguito dalle ingiurie del Pci nella speranza che le sue ali di scrittore si fondessero al sole delle ostilità. “Candido” non entrò nella rosa del Campiello. Per mettere in sordina l’interesse per lo scrittore si ricorse alla gherminella di escluderlo con il pretesto “non è il miglior Sciascia”. Si può esporre uno scrittore del suo valore, fu la scusa dei giurati, al rischio di non risultare primo tra i cinque prescelti? Mescolando il veleno alla lode, si fece, allora, il gioco del Pci. A Max Gallo dell”Express”, l’11 giugno del 1978, Sciascia confidò: “Ho paura che dopo aver vissuto vent’anni della mia vita sotto il fascismo, mi toccherà passare altre venti anni dell’esistenza sotto un’altra specie di fascismo. Il compromesso storico associa due tradizioni non liberali: la cattolica e la comunista. Io detesto l’una e l’altra. E naturalmente la somma delle due. Ma se i comunisti sono rigettati all’opposizione, questo determinerà un clima pericoloso per la libertà. Eppoi – e perché no – può darsi benissimo che si continui a cadere, a cadere, senza mai trovare il fondo”. Sciascia è stato, ed è ancora, uno dei personaggi più rappresentativi della nostra epoca. E’ una sorta di Camus italiano; l’espressione di un’esigenza di moralità allo stesso modo dello scrittore francese, autore, oltre che dello “Straniero”, anche dell’”Homme revoltè”. In un mondo tenebroso e feroce, com’è soprattutto quello italiano, Sciascia è stato uno “spirito”, come si diceva una volta, appartenente alla razza dei non sottomessi per la sua sete di libertà, di verità e di giustizia.
SCIASCIA, IL “CANDIDO” INDOMABILE
FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI
SCIASCIA, IL “CANDIDO” INDOMABILE
MAURIZIO LIVERANI