SDEGNI IN RITARDO

Maurizio Liverani

La dolorosa lucidità degli indignati a scoppio ritardato ci conferma quanto dice Nietzsche: “L’indignato è un uomo bugiardo”. La tirannia della corruzione è nota sin dagli anni ’50. D’allora testi come “Scandalusia” di Ernesto Rossi e “Democrazia mafiosa” di Panfilo Gentile mettevano in luce l’affarismo edilizio diffuso nella Capitale e in tutto il Paese; successivamente, nel ’75, con una serie di articoli dal titolo significativo “Io so”, Pier Paolo Pasolini denunciava alcuni fatti da cui è nato e cresciuto un clima esasperato dall’assenza di prospettive. E’ dunque da lungo tempo che è sorta una comunità che non ha a cuore l’avvenire, destinata a disgregarsi. Nessuno, se non a parole, si è impegnato a “risarcire” giovani e vecchi di quanto è stato loro sottratto, lasciando ai “parassiti” della politica le vane diatribe tra destra e sinistra. Su questi rancori, cinici profittatori hanno eretto le loro fortune. Dire oggi che il Paese si deve ridare una moralità, ripetendo quello che hanno scritto Sciascia, Pasolini, Rossi e Gentile, è un deprecare fuori tempo massimo. Ripetere che la classe politica è corrotta sin dal ’50 è un gioco facile, soprattutto se non si fanno i nomi dei veri responsabili. I fatti recenti sanzionano la fine di un’illusione. Al mondo vecchio e guasto di cui abbiamo ardentemente atteso la fine apparteniamo tutti, travolti dall’utopia politica  e religiosa, dagli ideali scaduti, ma che credevamo ancora validi alla borsa della speranza. Gli elettori diventano sempre meno numerosi perché c’è il sospetto che prevalga quella che Milton Friedman chiama “la tirannia dello status quo”. Nel mio saggio “Buffonismo all’italiana”, riferendomi al “Sommario di decomposizione” di Emil Cioran dedicato alla difesa della corruzione, scrivo: “in questa difesa noi italiani siamo maestri sin dalla proclamazione dell’Unità d’Italia. Non è un buon insegnamento; è il trionfo del cinismo questo sentirsi contemporaneamente, magari a giorni alterni, virtuosi e corrotti. Perché indignarsi dello scandalo della Banca Romana che coinvolse Giovanni Giolitti e il ministro degli Esteri Crispi? Perché gettare fango su chi, dissanguando le casse dello Stato, ha voluto costruire l’aeroporto di Fiumicino su di una palude? Perché invocare l’apocalisse contro chi, nell’immediato dopoguerra, ha prodotto il “sacco di Roma” di cui oggi paghiamo le conseguenze? Perché costruire periferie così desolanti? Si può sperare in un avvenire migliore in quartieri dove sono stipati e nutriti rissosi migranti?”. La saldatura dello stato presente dell’Italia con quella del passato è ormai avvenuta. E’ in malafede chi si indigna con tanto tempo di ritardo. Reclamare ora speranza o salvezza è un gioco retorico. “Perché cercare il traditore quando il tradimento è già avvenuto?”, è l’interrogativo che ereditiamo da Calderon de la Barca.

Maurizio Liverani