di Maurizio Liverani
“Turiamoci il naso e votiamo Dc”; la famosa affermazione di Montanalli oggi suonerebbe: “votiamo Pd”. Questa volta per sentirci più sicuri, gli italiani devono utilizzare come un “assist” della nuova politica la seconda versione. Il loro destino è quello di sentirsi sempre vassalli del partito al potere. Il nostro Paese deve partire dal preconcetto che per avere ampie riserve di intelligenza deve essere sempre succube. C’è chi è arrivato a sintonizzarsi con Fortebraccio (Mario Melloni) corsivista dell’”Unità”, strappato alla concorrenza de “Il Popolo” di cui era direttore negli anni ’60. Per riscaldare la fama di spadaccino, Fortebraccio mise in piazza tutte le magagne dei suoi colleghi scudocrociati da Fanfani a Moro. Una banale mitografia ha messo Indro Montanelli nel giornalismo principe, cioè una figura rappresentativa, un commentatore brillante con uno stile arguto che aveva il pallino di essere l’espressione di una esigenza di purezza liberale. A sinistra lo consideravano un fascista, nel migliore dei casi una penna illustre, buona per il moralismo del teatrino dell’indignazione. Tant’è vero che Piero Ottone, quando divenne direttore del “Corriere della Sera”, escogitò, per liberarsi dello sfavillio della firma di Montanelli, l’idea di fare un giornale senza firme. I lettori di quel quotidiano rimpiansero Mario Missiroli, gran direttore, definito da molti l’uomo più intelligente d’Italia. Missiroli non credeva negli uomini, capita a molti. Invece di lasciarsi amareggiare da questa scoperta, si concedeva in pubblico a un gioco svagato e malizioso. Dal “centrismo” al “centrosinistra” fu rapido nell’allinearsi. “Mi bastano cinque titoli”, disse divertito agli amici; “Allarme”, “Perplessità”, “Attenzione”, “Attesa” e infine “Via libera”. E il giornale entrò, già da allora, nell’epica del centrosinistra. Chi manca l’entrata al momento del riciclaggio corre il rischio di restare fuori dal gioco. Missiroli era un uomo pieno di humour; “sdoganava” il giornale dal “centro” ma non faceva ammenda di essere liberale. Il solo quotidiano liberale che ho conosciuto era “Il Mondo” di Mario Pannunzio. Vi scriveva Ennio Flaiano che nessuno è venuto a sostituire. I comunisti alla sua morte lo copersero di insulti. Non riuscendo a diventare Flaiano, i giornalisti di oggi incensano il potere di sinistra e per entrare nella gruviera dei “best sellers” sono sempre rigorosi a parole, ma subito pronti a concorrere alla lotteria dei premi letterari. Tra loro, e sono tanti, è difficile individuare il più servile.
Maurizio Liverani