SETTECENTO ROMANO: DEDICATO A WINCKELMANN
Nei Musei Vaticani è stato presentato il numero XXXIV degli «Studi sul
Settecento Romano», a cura di Elisa Debenedetti e dedicato a Johann
Joachim Winckelmann nel duplice anniversario della nascita e della
morte. Sono intervenuti Barbara Jatta, Marcello Barbanera, Francesco Gandolfo,
Steffi Roettgen, Elisa Debenedetti.
Il numero del “Settecento Romano” dedicato a Johann Joachim Winckelmann
nella duplice ricorrenza della nascita e della morte, uscito alla fine
del 2018, segue a breve distanza il fascicolo incentrato su Giovanni
Battista Piranesi, dal quale il Sassone si differenzia profondamente,
soprattutto per il suo connaturato modo, estremamente stimabile, di
mettersi in discussione.
Il volume è diviso in tre parti: la prima ospita saggi di esperti
dell’argomento, tedeschi e italiani, ricordando l’importante mostra
presso i Musei Capitolini, dedicata soprattutto all’Archeologo come
commissario delle antichità negli ultimi cinque anni della sua breve
esistenza; durante i quali si individua sempre meglio quel filone di
studi che segna la nascita della storia dell’arte come disciplina
autonoma, fondata sull’imprescindibile equilibrio di filologia e
filosofia. Si precisano in quegli stessi anni i suoi rapporti con
William Kent, Francesco Barazzi, e soprattutto con Niccolò Ricciolini,
attraverso la cui amicizia poté esprimere il proprio giudizio negativo
sui pittori post-raffaelleschi del Seicento e del Settecento.
Winckelmann era giunto a Roma nel 1755, dopo essersi convertito al
cattolicesimo, protetto da cinque illustri esponenti della Curia Romana,
Alberico Archinto, Domenico Passionei, Alessandro Albani, Giuseppe
Spinelli e Gian Francesco Stoppani, sui quali si sofferma nelle lettere
ai corrispondenti tedeschi, non senza alcune riserve. Tra le lettere
trovano anche posto quattro frammenti inediti destinati a fornire una
guida a chi volesse mettersi in viaggio per l’Italia, elargendo
un’immagine ideale di Roma come “città dell’arte” per antonomasia.
L’impressione profonda che suscitò in lui l’avvincente impatto con la
Città Eterna è del resto testimoniata da un piccolo quaderno autografo,
conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II,
che, sotto il titolo di Inscritiones grecae et latinae, fornisce una
descrizione delle ville e dei palazzi della città e di ciò che in essi
era conservato ed esposto: tanto da confermare il passaggio epocale, di
cui egli è stato interprete, dal sapere erudito all’approccio diretto
alle opere d’arte dell’antichità. I risultati di tale metodo vengono
messi vistosamente in luce in un ampio saggio che sottolinea come
l’osservazione meticolosa dei caratteri tecnici e stilistici, insieme
alla sua vastissima conoscenza della mitologia e storia greca e degli
autori antichi, permisero a Winckelmann di cancellare attribuzioni
errate e di stabilirne di nuove per sculture famose. Sull’esperienza del
Sassone nel Regno napoletano si soffermano a loro volta due studi che
ne esaminano le scoperte archeologiche più significative, come la
caserma dei Gladiatori a Pompei, la villa di Publio Vedio Pollione a
Posillipo, e le riflessioni da lui elaborate sui siti di Paestum e sul
tempio di Serapide a Pozzuoli, cercando di ricostruire anche l’influenza
su di esse della cultura napoletana, da lui sottaciuta.
La seconda parte del volume è incentrata sugli eventi tenuti in
occasione delle celebrazioni winckelmanniane, come la mostra svoltasi a
Weimar e quella alla Biblioteca Braidense di Milano; la giornata di
studio sull’Archeologo e le antichità Montalto a Villa Negroni presso i
Musei Vaticani, e l’esposizione dei “Capolavori diffusi” in questi
stessi Musei.
La terza parte si avvale infine di contributi che hanno con Winckelmann
una indiretta relazione, come l’allestimento, da parte di Giovanni
Battista e Aurelio Visconti, della collezione di antichità egizie nella
Sala a croce greca e nel primo «ripartimento» della Galleria dei
Candelabri nel Museo Pio Clementino, che risente del lascito culturale
dell’Archeologo prussiano; o un documento del 1724, che permette di
ricostruire l’entità della quadreria Albani e di una preziosa raccolta
di alcuni disegni dall’Antico, entrambe conservate in Palazzo Albani
alle Quattro Fontane, dove il Sassone aveva vissuto, e ora disperse;
mentre le acqueforti da disegni di Percier, raffiguranti i pergolati di
Villa Albani, offrono lo spunto per riparlare ancora della celebre
dimora sulla Salaria e della sua situazione attuale, dopo i rivolgimenti
seguiti alle spoliazioni napoleoniche e al passaggio di proprietà ai
Torlonia. Vengono da ultimo commentati due disegni di Antonio Canova che
hanno qualche assonanza con la celebre Pala di Possagno, costituendo un
pretesto per l’avvicinamento a Winckelmann.