LA MANO E LA PIETRA
Amore e morte nella pittura di Silvio Benedetto
Nel dire comune, dipingere le mani ‘è la cosa più difficile’. Benedetto ci dice: “Difficile? Provate a raffigurare uova bianche su un piatto bianco, tanto per citare un solo esempio. Questo se parliamo della tecnica necessaria ad una rappresentazione figurativa oggettiva, la quale può essere certo ‘benedetta’ o no dalla creatività e dall’immaginario. Diversa cosa se si tratta di un’esplosione materica, cromatica, soggettiva… Molte convinzioni ingenue si creano intorno alla figuratività, regine su tutte la lacrima del pagliaccio, il luccichio effettista sul vetro, e gli occhi del Cristo che ti seguono ovunque tu ti sposti.”.
Benedetto ha prediletto sì, nella sua vasta opera espositiva e muralistica, la figura umana, il volto e le mani. Nei momenti di riposo o nell’agire. Nei mestieri e nel lavoro (mastri d’ascia, scalpellini, pescatori, vendemmiatori, minatori…), nell’epica e nei miti (classici o meno), nell’erotismo. I suoi 110 massi dipinti sul tema della Divina Commedia a Campobello di Licata (opera unica di grande valore plastico e contenutistico oggi stoltamente trascurata dagli enti pubblici) ne sono eccellente testimonianza.
Ma tornando alle mani e alla forza espressiva che possono esse da sole comunicare, chi visita il Castello di Carini, in quella bellissima Sicilia ricca di arte e di cultura, alla ricerca della leggenda della Baronessa – Donna Laura Lanza di Trabia, moglie di Don Vincenzo la Grua-Talamanca, uccisa o fatta uccidere nel ‘500 per motivi d’onore dal padre Don Cesare Lanza – non sa (o forse pochi) che la mano dipinta su un sasso dell’epoca è stata realizzata nel 2007 da Silvio Benedetto, richiamo all’impronta insanguinata che la leggenda vuole a triste ‘sigillo’ di quell’epilogo. Benedetto ci dice ancora: “Ho raffigurato sul davanti della pietra il dorso della mano che debolmente cerca sostegno nella parete ma, oniricamente, sul lato opposto della pietra, la stessa mano sembra voler sporgere il palmo per lasciar librare l’amore nel vento, libero, oltre le mura…”.
La pietra, voluta dall’Amministrazione Comunale di Carini, fa propria mostra nella sala della fortezza medioevale, oggi museale e a suo tempo teatro dell’evento. Accompagnata inoltre da una poesia dello stesso artista italoargentino:
Amore e morte nella pittura di Silvio Benedetto
Nel dire comune, dipingere le mani ‘è la cosa più difficile’. Benedetto ci dice: “Difficile? Provate a raffigurare uova bianche su un piatto bianco, tanto per citare un solo esempio. Questo se parliamo della tecnica necessaria ad una rappresentazione figurativa oggettiva, la quale può essere certo ‘benedetta’ o no dalla creatività e dall’immaginario. Diversa cosa se si tratta di un’esplosione materica, cromatica, soggettiva… Molte convinzioni ingenue si creano intorno alla figuratività, regine su tutte la lacrima del pagliaccio, il luccichio effettista sul vetro, e gli occhi del Cristo che ti seguono ovunque tu ti sposti.”.
Benedetto ha prediletto sì, nella sua vasta opera espositiva e muralistica, la figura umana, il volto e le mani. Nei momenti di riposo o nell’agire. Nei mestieri e nel lavoro (mastri d’ascia, scalpellini, pescatori, vendemmiatori, minatori…), nell’epica e nei miti (classici o meno), nell’erotismo. I suoi 110 massi dipinti sul tema della Divina Commedia a Campobello di Licata (opera unica di grande valore plastico e contenutistico oggi stoltamente trascurata dagli enti pubblici) ne sono eccellente testimonianza.
Ma tornando alle mani e alla forza espressiva che possono esse da sole comunicare, chi visita il Castello di Carini, in quella bellissima Sicilia ricca di arte e di cultura, alla ricerca della leggenda della Baronessa – Donna Laura Lanza di Trabia, moglie di Don Vincenzo la Grua-Talamanca, uccisa o fatta uccidere nel ‘500 per motivi d’onore dal padre Don Cesare Lanza – non sa (o forse pochi) che la mano dipinta su un sasso dell’epoca è stata realizzata nel 2007 da Silvio Benedetto, richiamo all’impronta insanguinata che la leggenda vuole a triste ‘sigillo’ di quell’epilogo. Benedetto ci dice ancora: “Ho raffigurato sul davanti della pietra il dorso della mano che debolmente cerca sostegno nella parete ma, oniricamente, sul lato opposto della pietra, la stessa mano sembra voler sporgere il palmo per lasciar librare l’amore nel vento, libero, oltre le mura…”.
La pietra, voluta dall’Amministrazione Comunale di Carini, fa propria mostra nella sala della fortezza medioevale, oggi museale e a suo tempo teatro dell’evento. Accompagnata inoltre da una poesia dello stesso artista italoargentino:
vorrei
la dura pietra
con la mia mano aprire
così come il mio caldo pulsante cuore
fu dall’amore aperto
così come il mio tremante stupore
da paterno spietato ferro
fu squarciato
vorrei con la mia mano
la dura pietra così
aprire e così nell’aria librarmi
e così oltre il mare con te
amore amante
così scomparire.
“Forse una lettera non spedita, un fuori-campo di un dopo non avvenuto”, commenta ancora l’artista.
Benedetto ha creato anche un’azione teatrale itinerante su questo tema, pensata insieme a Giovanni Isgrò, Olga Macaluso e Silvia Lotti per i percorsi del Castello di Carini, opera inedita che sino ad oggi non è ancora stato possibile mettere in scena.
Dunque alla notorietà della triste storia della Baronessa di Carini – attraverso la musica (da un’antica ballata popolare siciliana, con testo rielaborato da Otello Profazio) e attraverso la televisione (dallo sceneggiato del 1975 di Daniele D’Anza e Lucio Mandarà alla miniserie del 2007 diretta da Umberto Marino) –
si aggiunge questo intenso momento di pittura e poesia del maestro Silvio Benedetto.
Castello di Carini (Palermo), Corso Umberto 1. Tutti i giorni ore 9-13 e 15-19.