FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI
SILVIO: E’ DI RIGORE?
Indro Montanelli si è battuto sino all’ultimo per indurre Silvio Berlusconi a non entrare in politica. Aveva capito che l’uomo di Arcore non appartiene alla razza dei “notabili” che si atteggiano a demiurghi, ma al momento di risolvere l’equazione (con molte incognite) delle imprevedibilità e delle crisi si rintanano nel guscio come lumache. Fatti di mediocrità e di piatta sufficienza avversano qualsiasi slancio rinnovatore, più interessati alla moneta degli intrighi che agli interessi del Paese. Silvio fece capire a Indro di essere ormai “scafato” e che non si sarebbe bruciato nella graticola della politica, per giunta di quella italiana in cui pullulano gli adoratori del vicolo cieco. Alla guida del governo ha dimostrato intelligenza; un’intelligenza luminosa che sa fare quanto occorre per essere gradito agli italiani, cioè sgradito alla classe politica. Le numerose minacce di defenestrarlo, ora con la magistratura ora con la violenza, hanno fatto alle sue orecchie un lieve ronzio. Con le sue improvvisazioni apparve subito un ghirigoro. I democristiani alla Buttiglione, alla Casini, alla Pisanu credevano che fosse un democristiano di una specie differente; nessuno si accorse che la sua vocazione era al di là della mediocrità della vita politica italiana. Prima di lui, i leader volevano insinuare di appartenere alla razza selezionata dei geni. Mentre Silvio si era limitato, da subito, a farci sapere che avrebbe cercato di intonarsi ai tempi. Non si è accorto che sindacati, correnti, mafie hanno ridotto, dal dopoguerra in poi, l’uomo politico a un tipo comune. Se poi si trova in vetta, somiglia a quei galletti di ferro dei campanili, dritti e impettiti, che girano a ogni soffio di vento. Berlusconi, sulla scena pubblica, si è imposto con autorevolezza e singolarità; da persona perbene ha dato fiducia a uomini senza qualità, confortato soltanto dalla simpatia che provava per loro, senza verificare, meglio, “monitorare” le loro capacità. Conoscendoli fin dagli anni ’50, il sottoscritto ha pubblicato, nel ’97, un opuscolo che cercava di mettere in rilievo alcuni aspetti oscuri e negativi delle personalità che Silvio aveva chiamato a collaborare al suo partito. Ex comunisti con Lenin nelle vene, ex democristiani con Dossetti nel cuore, ex socialisti prodighi di parole e “salmi”, ex missini, capitanati dalla girella-Fini, fecero corona al grande timoniere del centrodestra. Quell’insediamento a Palazzo Chigi, così tracotante nella sua condiscendenza, innervosì i comunisti i quali, per restare a galla, pensano che bisogna incutere paura. I democristiani cominciarono a covare feroci rivincite; sono abituati a strisciare, ma da “striscioni”, quando “arrivano” alla ghiotta meta, mordono come roditori affamati. C’è da dire che la personalità politica è nel frattempo mutata in peggio; non mette più il sigillo della vecchia guardia. I volti dei democristiani e dei comunisti non esprimono alcuna seduzione intellettuale. E’ questa l’epoca delle mezze maniche. In questa aurea di mediocrità Pierluigi Bersani si è fatto bardare da cavallo di razza. Questo avevo anticipato nel “Dal Polo al pollo”, premiato a Fiuggi per la satira; cercavo di fornire il radar a Berlusconi per individuare chi per primo gli avrebbe dato la pugnalata alle spalle. Ma è tale la paralisi della nostra democrazia che si era arrivati a creare, attraverso la stampa e con la collaborazione dei nemici intimi dell’Europa unita, un complotto contro Silvio. Il “pronunciamento” giunto al “quia” suscita tremende paure in chi lo ha preparato. Gli avversari e i traditori prediligono il “segnare” il passo. Chi, caduto questo premier, è riuscito, o riuscirà, a concentrare su di sé l’interesse, oltre alla malevolenza, che grava su Berlusconi?
MAURIZIO LIVERANI