SOTTO LA CALOTTA DELL’UOMO DI ARCORE

FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI 

SOTTO LA CALOTTA DELL’UOMO DI ARCORE

In casa Pd il Coronavirus sta avendo un suono quasi lugubre, segna un addio a una grande illusione. Per tanto tempo il partito ha nascosto una buona dose di “mea culpa”; la sua politica si ritrova in un vicolo cieco da quando è stampella del governo Conte. E’, tuttavia, patetico vedere tanti pezzi di nazione che non si piacciono, due Italie che coabitano, si salutano ma si guardano in cagnesco. Il partito del Nazareno avverte di essere preso in giro dal Colle. L’Italia sperimenta, con il presidente della Repubblica, la “vanitas vanitatum” del gran teatro della politica postcomunista. Materia marcia che odora male; come odora male, alla luce della pandemia, quella messa in scena, sul mercato della storia, della “Bella ciao”. L’idea di patria si è venuta corrompendo negli anni con tante guerre inutili sino a slittare, vertiginosamente, nel Coronavirus. Un “tapis roulant” che continua a scivolare sotto i nostri piedi. Da San Pietro promana un sentore triste che poi è quello dello stato d’animo di molti italiani che, per attaccamento alla vita, hanno deciso di non dare più ascolto alle geremiadi del Papa. Non è colpa del pontefice se il suo volto non riesce ad apparire pregno di avvenire. Tutto riesce bene, in Italia, nelle sciagure. Le anime elette fanno comicamente sfoggio d’orgoglio con il piglio del vincitore “sconfitto”. Per non sentirsi dei bruchi, molti si mettono sotto la calotta dell’uomo di Arcore. Tutti coloro che hanno ridotto il Paese in queste condizioni frollano al gancio delle promesse che è un modo di azzannare tutte le amministrazioni proclamando un programma di moderazione. Stiamo dicendo cose più volte dette ma che non è male ripetere. Chi crede ancora nella possibilità di dialogo tra sinistra e destra è psicologicamente debole: confida nelle capacità taumaturgiche del Coronavirus. La politica nel frattempo avanza sempre più nel ridicolo.
 
 MAURIZIO LIVERANI