STILE NUOVO? MACCHE’, ASSAI VECCHIO

FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI
 
STILE NUOVO? MACCHE’, ASSAI VECCHIO

Il personale politico di questi tempi è curiosamente privo di carisma. “Dove sono andati a finire i bei tempi di Coppi e Bartali?”, direbbe un appassionato di ciclismo. Bisognerebbe spiegare se questo giudizio negativo sull’odierno uomo politico derivi dall’insufficienza spirituale dello sguardo o del naso che è l’organo, pare, dove si adagia più comodamente l’insignificanza. Delle spiegazioni storiche possiamo infischiarcene; non è la personalità a essere in declino, è la politica in sé una sopravvivenza ingombrante in un’epoca di globalizzazione dilagante. Dalla nuova generazione di politici ci saremmo attesi uno stile nuovo, invece, si è applicata soltanto a sviluppare e condurre al limite della spudoratezza le premesse dei predecessori. Che cosa avrebbe, poi, dovuto essere questo “nuovo”, come ripetono i giannettini parlamentari? A guardar bene, è un “nuovo” lardellato di tante nefandezze da rendere legittimo il rimpianto del vecchio. I politici sembrano opera del caso o, comunque, di una brillante combinazione di astuzia e di fortuna. Luigi Di Maio, dimessosi, si era spinto ben oltre la riabilitazione della stagione democristiana. Man mano che cresce l’insoddisfazione degli italiani verso questi “canonizzati” per età o per misteriose ragioni, i nuovi giovani leader vogliono abbandonare ogni esitazione e svegliarsi a una nuova realtà registrando l’agonia della vecchia politica. E’ un modo di fare, questo, che dà sbiadite individualità. Movimenti come quello dei cinquestelle lottano per l’esistenza; vorrebbero rappresentare un “optimum” almeno per un certo periodo e impadronirsi delle leve statali.

MAURIZIO LIVERANI

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STALINIANO FU QUELL’ASTIO…

L’astiosa avversione dell’intellettualità italiana verso “La dolce vita” fu riassunta da Ennio Flaiano (nella foto), autore del soggetto, con questa frase: “L’arco costituzionale non ci ama”. Parte della critica di sinistra accusava il film di avere un successo di evasione, mentre il punto debole della storia, scriveva “Il Contemporaneo”, era la “cattiva letteratura del soggetto”, di Flaiano. Anima nera per i comunisti e coperto di insulti nel necrologio sull’”Unità”; un necrologio nello stile staliniano, fatto dagli stessi che rendevano omaggio a Fellini e Mastroianni. In fondo si avvalorava la tesi che il film era bello e accettabile ma che non raggiungeva l’eccellenza per colpa di Flaiano.

MAURIZIO LIVERANI