di Maurizio Liverani
Sorprendono le proteste per la larga risonanza che una certa stampa dĆ a āMein Kampfā di Adolf Hitler. Molti ricordano come questo libro abbia indotto tanti italiani a iscriversi al partito comunista. Certo, ĆØ ben strano che in un Paese dove la censura imperversa, ci si inalberi per un fatto cosƬ ridicolo. Nelle scuole italiane non entrano testi che, a parte il contenuto, sono saggi di squisito uso della lingua italiana. Uno degli autori banditi ĆØ il piĆ¹ grande italianista che si conosca e reca il nome di Aretino; nei suoi āRagionamentiā tutte le āgoffezzeā, il termine ĆØ suo, del sesso vengono descritte in una maniera cosƬ elegante e squisita da far āincapricciareā i linguisti. L’eleganza dell’Aretino arriva a scrivere: āChi li ha visti tra le dame facendo gli amori, vede tanti porci fiutar rose in un giardinoā. Questo ĆØ un caso, poi ci sono resoconti di guerra in cui l’ideologia ĆØ messa da parte. Ad esempio, ce ne ĆØ uno che dice: āIl marxismo ĆØ un pollaio senza uova pieno di schiamazziā. Riferendosi al presente un buontempone scrive āIl mio opportunismo ĆØ inflessibileā. PuĆ² darsi che rileggere l’ignobile āMein Kampfā ci induca, direbbe ancora l’Aretino, a tirare la cordicella dello snobismo. Tutto quello che avviene nel campo dell’editoria infittisce il mistero della nostra esistenza. Gli appassionati di letteratura, ad esempio, si stupiscono del grande rilievo dato ai āPromessi sposiā mentre si trascura āDiceria dell’untoreā di Gesualdo Bufalino. La letteratura italiana ĆØ molto ricca ma alcuni autori, per colpa anche dell’ostilitĆ ecclesiastica, sono tenuti in sordina. Il caso di Hitler, da imbianchino diventato il flagello degli ebrei, potrebbe riaprire il discorso sull’uso scriteriato dei giochettiĀ editoriali. L’hitlerismo di ritorno rientra nel quel processo di disgregazione della coscienza collettiva.
Maurizio Liverani