di Maurizio Liverani
Il vento in poppa che sospinge Silvio Berlusconi sarebbe offerto, secondo la stampa, dai sondaggi. Se ne ricava l’indicazione che molti italiani vogliono il “nuovo” promesso vent’anni fa da Forza Italia. Se continuerà a restare un Giano bifronte, il vento in poppa sarà, questa volta, un venticello. A regolare le folate c’è sempre la magistratura; la stessa che voleva obbligare alla stasi Matteo Renzi. Quando un candidato premier entra in combustione, da lontani angoli del globo può arrivargli una bordata giudiziaria che, dopo qualche anno, si rivela una bolla di sapone. Passando in rassegna i leader che si proporranno all’elettorato, sempre scontento, Matteo Salvini ha introdotto nella destra quel tanto di imprevedibile che un Amleto della politica qualche volta raggiunge. E’ lui o non è lui l’allievo di Umberto Bossi? Se il fondatore, colpito dal laser della giustizia, vuol smarrirsi nell’oblio, Salvini si propone come l’unico sbaragliante capo Lega. E’ una commistione di furbizia e di intrigo. Di sua iniziativa Luigi Di Maio prende il posto dell’ineleggibile Grillo, proponendosi come il prodotto della zecca delle figure “nobili”. Il M5s è sempre più un rebus. Sono in tanti a volersi adattare al teatrino parlamentare, ghiotti di vitalizi o, semplicemente, di notorietà. Romano Prodi si insalciccia nel novero dei candidati ispirandosi a Giuseppe Dossetti, “reo” di aver definito la democrazia “l’arte di opprimere il popolo da parte del popolo nell’interesse del popolo”. L’illustre prelato, trasformatosi in politico, sottintendeva come la democrazia degeneri spesso in una sorta di tirannia di massa. Dossetti poteva non divenire un nume tutelare della fazione più stalinista del Pd? L’altra, capitanata da Renzi, è sempre mal vista dal “vecchietto” Massimo D’Alema. Quando anni fa Giorgio Napolitano, nel suo discorso all’insediamento di Silvio Berlusconi, disse chiaro: “La sinistra lasci governare il Polo”, prontamente D’Alema sostenne la tesi opposta. Nell’allora governo del Polo c’era anche gente seria come Antonio Martino, Giulio Tremonti, Antonio Marzano, tutti in grado di raddrizzare la barca dell’economia italiana. Ma al parlamentarismo italiano interessava ben altro: fare di Berlusconi un “ramo secco”. Il gioco era talmente scoperto che qualcuno non lo sopportò più e voltò le spalle alle urne. L’errore di Silvio fu quello di circondarsi di “zuavi”, forniti da quella eterna matrice di machiavellini ai quali è inutile chiedere coerenza. Berlusconi annuncia, ora, un repulisti nelle fila del suo partito; in questi giorni si è sfogato. Quando si trova di fronte a Salvini, i due somigliano a mummie tolte di fresco dal sepolcro.
Maurizio Liverani