I versi che Marilyn scrisse prima di morire finiscono così: “Sento la vita venirmi più vicina, quando tutto quello che desidero è morire”. E’, forse, in questi versi che si potrebbe intuire il mistero della sua morte. Il dopo Marilyn è uno spettacolo lungo e noioso. Se guardiamo indietro agli anni della diva, ci accorgiamo che viviamo come sospesi; è un peccato che per arrivare al cinema le aspiranti Marilyn ci appaiano come figure da oratorio. Messe insieme somigliano a una bottega di rigattieri piena di cianfrusaglie e di polvere dove ogni cosa è attribuito un prezzo. Poiché l’intelligenza dura più a lungo, molte di queste vamp sono ansiose di far sapere di essere intelligenti, erudite e dialoganti. Per conservare un aspetto delizioso, Marilyn ci ricordava ogni momento, fuori e dentro lo schermo, di essere diversa dai propri simili. Tutte quelle che hanno cercato di imitarla non sono riuscite a guidare la nostra fantasia verso un destino sessualmente ignoto. L’arma tutt’altro che segreta di Woody Allen per trovare la pornostar di “Mighty Aphrodite” è l’interrogazione: sei essere scema? L’uso della domanda non è apparso offensivo a Mira Sorvino, un metro e ottanta e uno scutrettolio rovina-uomini. In questo film il regista ha piazzato la bomba-sexy-stupidità nel cuore del racconto e da scemetta alla Marilyn, Mira si ritrova l’unica intelligente in mezzo alla universale stupidità. Con gran sdegno di tutta la classe divistica, Mira Sorvino, dall’oggi al domani, è divenuta per qualche anno la numero uno della hit parade della seduzione. La Sorvino si trovava benissimo in sintonia con la rivoluzione tentata nel dopo Marilyn che voleva la donna, come diceva Orazio, “facilem et parabilenque”, cioè a portata di mano. Una vera diva deve mettere al servizio del cinema ciò che sta più a cuore: il divertimento. Per Marilyn, come per Mira, la stupidità è una categoria mentale che ognuno può acquisire. Essere “svampite” è una creazione. Sono pochissime le attrici capaci di innalzarsi al mito di sceme e ridere di se stesse. Mira Sorvino ha citato persino Bergson il quale definisce la comicità qualcosa di meccanico “applicato al vivente”. A questo punto, ha preferito appartenere alla categoria mentale che una persona intelligente può nascondere ma non negare. E si è innalzata al “ruolo” di donna anticipando la rivoluzione in corso, guidando la sua fantasia verso un destino cinematograficamente “ignoto”.
MAURIZIO LIVERANI