di Maurizio Liverani
Per chi ama il vero cinema divertente la notizia che i film di Jacques Tati restaurati torneranno a circolare riempie di gioia. La storia di questo regista e attore è singolare. Avrebbe dovuto fabbricare cornici sulla scia del lavoro del padre; costretto dalla guerra a cercare rifugio nei piccoli paesi della montagna francese, ebbe la geniale idea di girare alcuni brevissimi film tra il balletto, la rivista e la commediola, trovando così la via del suo destino: quella di diventare uno dei maggiori comici del mondo al pari, a volte più originale, di Charlie Chaplin. Questi filmini avevano il torto di essere troppo brevi pur essendo molto vivaci. Si ovviò all’ inconveniente mettendoli in coda a pellicole più lunghe ma non tanto da consentire un prolungamento. Queste sue fugaci apparizioni furono amate dal pubblico e indussero la critica a parlare di cinema nuovo. Tornato nel piccolo villaggio di Sainte-Sevère nella regione di Indre, osservando la vita degli abitanti, individua in un postino del paese, alto quasi due metri, il personaggio del film “Un giorno di festa”. Si tratta di un tipo che con la sua fantasia è già proiettato nel futuro; sullo schermo ha visto alcuni film americani dove impazzano super motociclette ed elicotteri e decide di utilizzare la sua sgangherata bicicletta per correre da un punto all’altro del villaggio a velocità supersonica e consegnare la posta. Il motivo è tutto qui, ma le gag si susseguono con la stessa velocità e trasportano il pubblico a ridere in maniera incontenibile. Le risate risuonavano nelle sale cinematografiche e naturalmente incuriosivano i produttori. Nasce con “Un giorno di festa” la cinematografia di Tatichef, il suo vero nome di origine russa. E’ stato uno dei comici più amati dal pubblico parigino. L’ho conosciuto, e tra i tanti racconti che mi faceva, sgranando gli occhi e levando le mani al cielo, mi disse: “Il mio amico Federico Fellini mi ha tradito”. Atteggiai la mia faccia a sbalordimento perché qualsiasi cosa facesse provocava almeno un sorriso. Qual era la colpa di Fellini? Raccontandomela si esibì in una pantomima alla quale era difficile negare il riso. In sostanza era accaduto questo: Tati, in visita a Roma ospite di Federico, gli rivelò di avere in mente di realizzare un film dal titolo “Tati, quatre et demi”. Capii subito dove voleva arrivare, ma impressi al mio sguardo sorpresa. Tornato a Roma, “costretto” a scrivere un’intervista con Fellini cercai di dare il minimo rilievo alla rivelazione che il film “8½” era carpito da quello che intendeva realizzare Tati. Nessuno scandalo per me, ma solo un pettegolezzo. Nel cinema anche le cose meno importanti vengono enfatizzate. In fondo un “Tati quatre et demi” e “Fellini 8½” avrebbero dato vita a un confronto interessantissimo soprattutto per la stampa e fatto del gran bene ai botteghini. Ricordo questo episodio curioso per segnalare che i cultori della settima arte alcune volte si fanno dei dispetti come i bambini. Fatto sta che i capitali impiegati per “8½”, di gran lunga superiori a quelli che sarebbero serviti a Tati, scoraggiarono i produttori del regista francese il quale si rifece con tanti film di grande successo.
Maurizio Liverani