di Maurizio Liverani
Gli esperti teatrali della televisione vedono un mondo di spettatori impigriti, depressi davanti al video. Un piccolo spazio è accordato ogni anno, a notte fonda, all’evento “Le maschere del teatro italiano”, dal Teatro Mercadante di Napoli, e condotto dal brillante Tullio Solenghi; un premio dato a una pattuglia di bravi attori che credono ancora in questa arte, garbati, intelligenti e che parlano un italiano corretto. Si è ormai installata la convinzione che la stagione teatrale sia al crepuscolo, che il fuoco dei suoi spettacoli sia ormai ridotto a tiepida brace. Il teatro ideologico, impegnato, didascalico è effettivamente in crisi, almeno come movimento vittorioso.
Ma che cosa è non in crisi oggi in Italia? Il famoso “mondo nuovo”, annunciato nel dopoguerra, dove si lascia decifrare? Il ridicolo “eroe positivo” dove lo cerchiamo? In televisione in “Un medico in famiglia”? Il teatro impegnato sembra conoscere la fine. Mantenerlo in vita si rischia il naufragio nel cartellonistico, nel non convinto. Al mondo vecchio e guasto, di cui Bertold Brecht desiderava ardentemente la fine apparteniamo tutti, travolti dall’utopia, da ideali scaduti che si continua a credere ancora validi alla Borsa della Speranza. Consoliamoci con il Festival di Venezia che attende ancora un cinema coraggioso, nutriente senza essere gastronomico, liberatore senza essere digestivo. “Nonno” Belmondo (nella foto degli anni 60) ha ricevuto il Leone alla carriera; se lo merita. La rassegna costa ancora, dopo tanti anni, milioni, ma non ha più la stessa eco mondiale perché ormai è in gran parte una mostra di seconda visione. In camera caritatis gli organizzatori lo ammettono: “cosa possiamo farci?”, dicono, “se gli stessi contestatori (avanti negli anni, ndr) preferiscono i festival con i premi e gli smoking?”. Vengono riciclati abiti eleganti e l’ostracismo più impietoso al capellonismo intellettualoide. Per essere confermati direttore è di rigore la testa “pelata”.
Maurizio Liverani