di Maurizio Liverani
Il famoso detto secondo cui la vecchiezza passa anche più veloce della giovinezza è smentita da Eugenio Scalfari che, nella trasmissione “Carta bianca”, si è espresso come il nuovo “vate” della situazione politica presente. In tanti si sperava che si fosse dato completamente alla poesia dicendo di voler essere il nuovo Leopardi. Il cigno di Recanati, scrivo nel mio libro “Buffonismo all’italiana”, aveva in realtà un carattere simile al suo. Dal rango di poeta Scalfari non abbandona le sue pretese ideologiche; gli viene sempre riconosciuta autorevolezza. Ha ritrovato il vezzo di assegnare le sue preferenze; ha elencato a Bianca Berlinguer i nomi di alcuni “cialtroni” che si presenteranno alle prossime elezioni per far capire che nessuno di questi ha il suo grado di intelligenza. Pur avendo novantaquattro anni non si adatta a fare il figurante. Ha esposto un volto sicuro delle proprie intenzioni; solo con gli occhi dava segni di detestare a tal punto il genere politico italiano da essere portato a credere che tutte le parti sono nel giusto purché si odino reciprocamente. La sua figura distaccata era quella di un vecchio e pensoso scioccone installato al vertice delle piramide gerarchica perché la sua immagine apparisse come una simbolica campana a martello ai nemici della sua parte. Quale? Il clima politico non offre iridescenze mondane, dominato com’è da burocrati. Il frazionismo della sinistra è servito a Scalfari per proporre una sua classifica al vertice della quale vedrebbe Walter Veltroni. Maria Elena Boschi, eroina e martire della “passionaccia”, non è per lui, almeno per ora, una star. La “paura dell’indice” del fondatore di “Repubblica” continua ancora a intimidire tanti comunisti già “sistemati”. In sostanza, Scalfari ha voluto far sentire di essere sfiorato dal respiro della storia e di ritenersi illustre. Eppure, risalendo la sua ascesa immotivata, ricorda un passero esitante, cioè non ha mai dato segni di possedere lumi speciali. Più si è cercato di farlo apparire come “forza della coscienza” più si è rafforzata l’impressione che tutta la sua storia sia contrassegnata dal segno della inutilità. Si è classificato “grande” legando il proprio nome al solo ideale dei nostri giorni, quello di essere scambiati per chi non si è. In quest’epoca scettica che non crede né in Dio né in Marx né nella morale è facile gabellarsi per “grande”. A novantaquattro anni è facile assumere l’aspetto di un idealista distaccato. Gli va riconosciuta l’abilità di sembrare qualcosa di nobile, di “timoniere”, di un dovere, di un destino, preparati lassù tra le grandi banche fra le stelle degli eletti della fortuna. Ha conservato il piacere di ritenersi estremamente in gamba, piantato e secco come un alberello di specie rara. Parla della sua età come di un “buono” valevole per piaceri futuri. Per essere ascritti tra i grandi ormai bisogna uscire dalle catacombe del tempo; le virtù carismatiche di cui si addobba Eugenio Scalfari si riducono al dato anagrafico. Il pensiero mai manifestato, ma sempre sottinteso, è questo: preferiamo un bel vecchio, alla sua età non avrà ancora voglia di arricchirsi. Per questo è “ipso facto” un padre della patria.
Maurizio Liverani