TRA ROMA E VENEZIA E’ FESTA MOBILE

  • di MAURIZIO LIVERANI 
     
  • TRA ROMA E VENEZIA E’ FESTA MOBILE
  • Nell’”Incubo ad aria condizionata”, Henry Miller ha scritto: “voglio morire come città per rinascere come uomo”. La sola città al mondo dove un individuo vorrebbe vivere, soprattutto chi come Woody Allen è spaventato dall’invasione delle macchine che nei grandi centri deturpano l’ambiente, è Venezia. “Venezia – ha dichiarato il regista tempo fa – è una gioia senza fine; ogni angolo in cui si posa lo sguardo si scorge il mondo come dovrebbe essere e merita di essere. Ma non è tranne che a Venezia: l’esempio più e più sublime di civiltà umana e merita di essere”. Venezia è la “città arte”; non una città d’arte come Siena, Firenze, Roma o Parigi. Molti grandi spiriti hanno voluto essere sepolti a Venezia, dopo averla amata in vita. In mancanza di un al di là, vogliono consegnarsi all’anima di questo miracolo e vivere e morire con lei. Con questo si comprende l’ammirazione di Allen per questa “magia”; “Una festa mobile”, come Hemingway vedeva Parigi; non ha un centro, ma tanti quanti sono i mille richiami che la città offre. Purtroppo, la dimensione metafisica non è avvertita dalla gran parte dei turisti. Pensando alle meraviglie di Roma, ci si scontra con il caos del suo traffico. Il centro storico, costruito secoli addietro per pedoni e carrozze, dal dopoguerra in poi è stato invaso dalle brutture. Sono mancate ai nostri amministratori inventiva e preveggenza. La contraddizione fra i loro propositi e i loro atti è stridente. La fiducia dei veneziani e dei romani si è sempre più incrinata. In Italia vanno distrutti ogni anno ettari di paesaggio senza che si riesca a fare nulla di concreto. Ci si limita a deplorare. “Un paesaggio è prima di tutto uno stato d’animo”, diceva Apollinaire. Se non c’è il paesaggio non c’è lo stato d’animo. Venezia è un paesaggio inventato dall’uomo; fa parte, più di quello naturale e di qualsiasi eco-sistema, dell’equilibrio spirituale. Se si altera questo equilibrio l’”umano” capitola di fronte al “non umano”.

MAURIZIO LIVERANI