TROPPI COSPIRATORI

di Maurizio Liverani

Giorgio Napolitano è un politico fissato, pietrificato; uno spirito mollusco che si ritiene ancora al Quirinale come “Re della Repubblica”, titolo di un saggio fatto per accontentare simultaneamente repubblicani e monarchici. Un compromesso, questo, veramente storico. Ritenendosi ancora sul Colle, a Napolitano viene richiesta, come alle sciantose del varietà, di ripetere la “mossa”. La “mossa” dovrebbe appartenere d’ufficio a Sergio Mattarella; ma è spadellata in ogni occasione propizia da quello che viene chiamato “padre della patria”. Assertore di ideali con cui si bardano i gran sacerdoti della coscienza collettiva. Riproducono valori che sono ormai dietro di noi e che sono ascoltati da chi cerca un eccitamento brioso come quello prodotto dalla “mossa”. A Mattarella  ha sottratto il centro nervoso del Colle. Per Napolitano non ci sarebbe che Napolitano per succedere a Napolitano. Il Vaticano ha sempre premuto per avere al Quirinale un cattolico e Mattarella ha avuto questo lampo di genio confermando la sua fede che gli procurerebbe un delirio di onnipotenza. Quel mattacchione di Napolitano svolge un’azione di disturbo nella politica italiana ponendo il capo dello Stato in una zona di regresso. Se ci sono tanti partiti perché non dovrebbero esistere due presidenti della Repubblica? Uno scelto elettoralmente, l’altro, pittorescamente, da chi ha interesse a conferirgli quell’autorità che non gli apparterebbe più. Chi dice che in Italia non c’è sviluppo? Non c’è giorno senza una nuova formazione politica, inutile ma variopinta. Alcuni politici si slanciano con la forza di una rapida, altri lentamente come lumache, lasciando una bavosità, una scia di cose poco chiare. Si chiama, questo trasbordo tra destra e sinistra, da sinistra al centro, il “cammino della speranza”. Quasi tutti sono tormentati dal dubbio: fare o non fare il trasloco? I galli e i galletti della destra e della sinistra non sono ruspanti, non vengono, cioè, dalla difesa di profonde convinzioni. Sono allevati in superattici, in fastose ville al mare; non somigliano ai maestri dell’età eroica che esiste soltanto nei libri. Lo stesso discorso vale per i sindacati. Il loro operaismo è una recita morale; si muovono in uno scenario forzato. L’idea di sindacalismo è scomparsa (oggi c’è il corporativismo), ma il sindacalismo continua. I lavoratori non fanno più un tuffo nell’entusiasmo da quando i loro leader hanno essicato ogni fiducia in un avvenire migliore. Meglio addirittura il leninismo tout court per il quale la rivoluzione è fatale; verrà da sé e quindi inutile farla. Precisati i connotati del sindacalismo odierno, torniamo nella selva oscura del capo dello Stato che si pensava avesse la statura di leader. La sua indecisione di fronte ai tanti casi sul tappeto nasce da un travaglio, da una insoddisfazione profonda per la politica condotta come una faida. Sa che nessuno vuole avere come guida Romano Prodi il quale cerca di far fortuna in vari fronti. Sembra sempre uscire dalla politica per parteciparvi più attivamente; per camminare con i tempi non deve avere alcunché di clericale e riconoscersi una certa consanguineità con i renziani. La perpetua commedia a cui si obbliga quello che viene chiamato centrosinistra, scompaginato in questi giorni da quei “cospiratori” vivamente biasimati dai migliori commentatori.

Maurizio Liverani