di Barbara Soffici
Se, a fine settembre, l’arresto dei dirigenti politici catalani, accusati penalmente di malversazione di fondi o disubbidienza per aver indetto il referendum sull’indipendenza, aveva suscitato un mare di proteste e polemiche, ora l’arresto dei funzionari esponenti del governo catalano solleva la perplessitĂ sulla possibilitĂ che un popolo possa ancora, nel 2017, decidere democraticamente come e da chi desidera essere guidato e governato. Ci si chiede, da tempo, se l’offensiva giudiziaria madrilena, con le perquisizioni, i sequestri di schede bianche e gli arresti, stia ingiustamente attentando non solo alla volontĂ , alla libertĂ dei cittadini catalani, ma anche all’ambito legale, al principio fondamentale dell’azione democratica, sconfinando nelle misure di polizia, in una repressione di stampo quasi totalitario. L’Unione Europea, sebbene non abbia mai messo in discussione la permanenza della Catalogna nell’Eurozona nel caso di secessione nazionale, si è schierata con Madrid. Temendo che il referendum potesse rinvigorire anche altre istanze nazionaliste e autonomiste, la Ue ha sperato, fino all’ultimo, che il proposito di indipendenza venisse abbandonato grazie a una negoziazione politica, con un’apertura sull’autonomia finanziaria (offerta dal governo Rajoy) o con la mediazione delle elezioni anticipate. Così non è stato. Anche se il fronte del no, in Catalogna, è sempre stato compatto e ampio, lo spirito indipendentista, rinverdito dagli arresti di settembre, si è radicalizzato trasversalmente dalla destra alla sinistra estrema. Il governo catalano ha istigato la popolazione alla pacifica disubbidienza civile, a difendere i propri diritti e le proprie libertĂ fondamentali. Dopo il voto per la nascita della Repubblica di Catalogna, Madrid ha reagito con una nuova misura restrittiva. Arrestati i ministri rimasti a Barcellona, la Spagna ha chiesto l’incriminazione per malversazione, ribellione e sedizione per il neo premier catalano Puigdemont e i 4 ministri che hanno chiesto “asilo politico” in Belgio, dove esiste una legge che permette di accettare le richieste dei fuggitivi che appartengono a minoranze etniche. Così il premier catalano ha messo in una situazione difficile il premier belga Charles Michel: riconoscere a Puigdemont il “diritto di asilo” equivarrebbe infatti giudicare negativamente il “rispetto dei diritti costituzionali in Spagna”. La vicenda ha sollevato opinioni divergenti: per alcuni nel referendum catalano e nella proclamazione delle Repubblica di Catalogna sarebbe da individuare un golpe; per altri “il nazionalismo è ormai obsoleto e anacronistico”, specie se lo si inquadra nella costruzione “democratica” dell’Europa Unita. Resta il fatto che Puigdemont, di fronte all’ordine di arresto europeo, ha dichiarato di essere ancora il capo del “legittimo governo della Catalogna”, di aver lasciato Barcellona per improntare la sua difesa, di voler “comparire davanti ai giudici, ma al cospetto dell’autentica giustizia, non di quella spagnola”, di aver l’intenzione di ricandidarsi, di cercare solo il riconoscimento della Spagna…
Barbara Soffici