di Maurizio Liverani
Di costante nella politica italiana c’è la bancarotta. Per convincersi del contrario, qualche anno fa, Walter Veltroni scrisse un saggio dal titolo “La bella politica”. Con la faccia di chi elogi l’arenaria di Strasburgo, l’ex segretario, l’ex sindaco, oggi letterato e regista, indicava tutte le conquiste fatte e quelle da fare. Naturalmente nel libro si parlava di ricambio generazionale; non pochi politici dopo anni di militanza si comportano come graziosi rampolli; nessuno dei riciclati battezzati “continuisti” si è fatto da parte. Atteggiandosi a non stagionato, qualcuno ricerca, grazie a questo “largo ai giovani”, posti più autorevoli. Giorgio Napolitano è riuscito a far tintinnare il suo nome verso il tumulto della gloria che ha raggiunto come presidente della Repubblica alle soglie dell’ottantina. Oggi, superati di due o tre anni i novanta, ancora il suo nome è proteso verso un luminoso avvenire. In Forza Italia sembrava si fosse contrari al culto della personalità, fatta eccezione per il “gran visir” di Arcore. Anche qui “largo ai giovani”. Meglio sarebbe stato dire “largo ai giovanili di qualunque età”. Furono messi alla porte due giovani radicali di gran talento: Taradash e l’ex segretario Capezzone, due esempi che avevano il torto di considerarsi carrozze di prima classe in rapporto a tanti calessi. Ma Forza Italia, con la sua ambizione sfrenata, non ha mai voluto intorno a sé gente di prestigio. Simpatia e talento accompagnano il fare intransigente di Silvio Berlusconi che si era accreditato come vessillifero degli italiani liberi, rispolverando l’abito ideologico liberale. La sinistra per lui andava troppo stretta: rifletteva un mondo che non c’è più. L’italiano libero sembrava giunto finalmente dalla stratosfera; si intravvedeva una nuova strada per arrivare in alto. Con il suo intuito voleva arrivare, a dispetto degli ex comunisti che militavano in FI, al “compromesso storico”. Nell’altra sponda si insediava in tempi brevi un giovane sindaco fiorentino incarnante un modo più nazionale di intendere la politica preferita dagli italiani. Aveva contro, però, il Grande Apparato che mira soltanto a sopravvivere, cioè non vi è più alcuna finalità nella sua ideologia ridotta all’osso. Alcuna finalità nei suoi piani; convergeva tutte le sue residue energie nell’occupazione a vasto raggio di tutti i centri di poteri cancellando tutte le zone franche. Se ne era accorto anche Umberto Eco. “Il Potere che ci inquieta è diffuso, un’impresa collettiva e acefala che sta riducendo la libertà di ciascuno”, disse al convegno su “Televisioni, informazioni e telecomunicazioni”. La nostra penna cortese non vuole ricordare le repliche astiose dei compagni, soprattutto di quelli che hanno la mano pesante. Placata la burrasca, Matteo Renzi distrasse gli italiani con grande verve ideologica. La sola strada praticabile erano le “larghe intese”; su quella strada Silvio si trovò d’accordo, “atterrando” al Patto del Nazareno con il suo carico di convergenze predicate da illustri uomini della sinistra come Amendola. In quel momento all’Italia si offriva l’occasione di realizzare il tanto atteso partito nazionale. Ma “A voli alti e repentini / sogliono i precipizi esser vicini”. Gli infiltrati di sinistra in FI si impegnarono a contrastare questo progetto, assecondati dagli stalinisti dell’altra sponda. Oggi che con l’approssimarsi dell’elezione del sindaco di Roma, con la possibilità di trovare un accordo su un “uomo giusto”, la destra ottusa strumentalizza i giovani di Azzurra Libertà per compromettere questo auspicabile progetto. Invece di tramare sottobanco emanano una nota che rimprovera al “gran visir” di FI l’”influenza negativa della vita privata del presidente Berlusconi sull’attività politica del partito”. Un colpo basso da avventurieri della politica. Il documento aggiunge: “ad Arcore comandano le donne” e a conclusione di questa reprimenda si rimprovera il vertice di non aver sostenuto, con FI, i “provvedimenti positivi del governo Renzi”. E’ un attacco che sembrerebbe sleale ma che nasconde un fine, quello di orientare i sostenitori ad appoggiare il governo attuale. C’è chi sussurra che tutto quanto avviene per assecondare un piano già concordato per portare sul Campidoglio Bertolaso o Marchini. Quel ripetuto “largo ai giovani”, se lascia ai loro posti i non giovani, può sempre servire per scompaginare la politica e indirizzarla dove i potenti hanno sempre voluto.
Maurizio Liverani