di Maurizio Liverani
Al Festival di Venezia è approdato il film sulla vedova di John F. Kennedy. La storia non è fedele a quanto avvenne a Dallas il 26 novembre 1963, quando Jackie aveva appena trentaquattro anni. Quando c’è in gioco l’interesse, il cinema si adatta immediatamente al complicato ingranaggio del business. Quale migliore affare per l’armatore greco Aristotele Onassis fu sposare Jacqueline Kennedy. Il film si intitola “Jackie” del regista cileno Pablo Larraín, specialista in pellicole mortuarie avendo diretto il famoso “Post mortem”. La vicenda è svuotata della parte tetra e angosciosa ma per la stampa e per la giuria merita il Leone d’oro. L’attrice Natalie Portman (foto) è molto brava e potrebbe vincere la Coppa Volpi. Il film sarebbe potuto essere memorabile se avesse evocato la lunga contrattazione con gli emissari dell’armatore Onassis che già vedeva la vedova al suo fianco. Ne sarebbe uscito un ritratto del cinismo del mondo contemporaneo; siccome questa parte è stata dimenticata accettiamo l’opera così com’è. Avrebbe potuto darci anche un amaro ritratto di una donna rimasta improvvisamente sola e che accetta di sposare l’armatore per una cifra spropositata. Il cinema d’autore ha bisogno di dire la verità magari individuando i tormenti della vedova e le intenzioni di ingigantire la propria statura di magnate dell’armatore. La possibilità di trovarci di fronte a un film che rifletta la nostra epoca è mancata. C’è però un bel film di stampo hollywoodiano. Il ricordo di Kennedy è lontano e quello di Onassis è di un astuto profittatore. Tutti saranno contenti o fingeranno di esserlo; saranno scontenti i cronisti e gli storici dell’epoca kennediana, visto che all’orizzonte si profila una candidatura per la Casa Bianca che lascia il mondo perplesso.
Maurizio Liverani