di Maurizio Liverani
Con l’età, ha scritto un romanziere francese, ogni uomo acquista la faccia che si merita. Stefano Fassina ha quella di un bravo funzionario che da un giorno all’altro ha deciso di essere spavaldo e persino insultante. I renziani, senza particolare acrimonia, vedono in lui un attaccabrighe stalinista rimasto fedele alla vecchia burocrazia di quando il partito era collocato in via delle Botteghe Oscure. Nessuno ha voglia di eliminarlo nella gara tra politici, dal momento che con le sue uscite si emargina da solo. Verso i compagni che non nutrono alcuna attenzione verso di lui, Fassina adotta l’antropofagia chiassosa e facinorosa; con quella silenziosa era riuscito a conquistare una poltroncina importante nel partito. Senza dubbio ha avuto istigatori; la richiesta di criticare continuamente il primo ministro gli è stata suggerita dall’ingordigia rabbiosa della vecchia guardia rottamata. Afflitto da una sorta di complesso di inferiorità, Fassina un bel giorno si è risvegliato percorso dai brividi dell’ambizione, dalla smania di grandezza e di rivalsa, di sorpassare e di valicare i propri limiti. Queste considerazioni ovvie le suggerisce ogni qualvolta parla del governo criticandolo. C’è chi lo accusa di voler colpire Matteo Renzi per aprire la strada a Pier Luigi Bersani che un tempo fu definito (sprezzantemente) “meccanico”. Sostenere con fervore, in tempo di crisi, che sia giunta l’ora di rottamare Renzi equivale a uscire dal giro; insomma, a staccarsi anche da quelli che lo istigano e che dicono di candidarlo a sindaco di Roma. Gli spiritosi di professione vedono in lui l’immagine di un tardo rivoluzionario, congiunta a quella di un ultra conservatore. E’ visto come un fastidioso, una zanzara che il video mostra frequentemente per offrirlo a frizzi e lazzi. Questo è il clima politico all’interno del partito democratico che ha alle spalle un glorioso avvenire.
Maurizio Liverani