UN INNO BISOGNOSO DI RIPOSO

di Maurizio Liverani

Chi ama ancora la Patria sente una fitta al cuore ogni volta che una banda, in occasione di un evento particolare, suona l’inno nazionale. C’è un aspetto comico in questa esaltazione sonora ed è in quella ”Italia s’è desta”. A volte ascoltando si arriva a disprezzarci, come quando sentiamo intonare il “Bella ciao” partigiana. Viviamo in un clima di sfinimento e nelle note iniziali di “Fratelli d’Italia” si annida un controcanto che equivale a uno sberleffo. L’ hanno notato in tanti e in tanti è nato il desiderio di sostituirlo con il “Nabucco”. E’ inutile nasconderselo: con l’Italia unita si sono ingigantiti gli impulsi nocivi, gli istinti malvagi. Quegli stessi che si accumulano nel mondo e che producono periodicamente distruzione e morte. Goffredo Mameli, quando compose a braccio questo inno, era giovane e giustamente proteso verso una nuova aurora. La breccia di Porta Pia dava a molti patrioti la speranza di un nuovo avvenire per l’Italia. Gli eroici garibaldini con quella impresa si illudevano di far uscire il Paese dalla stagnazione imposta dai clericali. I più saggi, tra questi il Tommaseo, volevano tenere separati i due Stati: quello italiano e quello del Vaticano. Chi nell’unità  vedeva un rinnovamento sociale presto dovette ricredersi. L’impresa dei Mille in Sicilia avrebbe dovuto aprire gli occhi a tanti patrioti. La predicazione dell’unità d’Italia si è confermata una forma di istigazione contro la vera democrazia. I veri italiani trovarono la propria libertà nella solitudine e nel distacco; gli altri si fecero subito gregge e accettarono grado a grado le disuguaglianze sociali. Progressivamente lo Stato passò in mano a uomini astuti, i soliti “vampiri” che ancora oggi succhiano il sangue dei cittadini. E’ un non senso continuare, a questo punto, a intonare “Fratelli d’Italia”, che annuncia un futuro glorioso.

Maurizio Liverani