UN MIRACOLO INVECCHIA PRESTO

di MAURIZIO LIVERANI

Con l’accento irato di un re che senta ricordare fuor di proposito una disfatta dei suoi eserciti, Roberto Benigni pare sia infuriato da quando si è convinto che papa Francesco è più bravo di lui come “spirito magno”; oggetto di idolatria, sia a destra che a sinistra, tra i credenti e non credenti. Dopo l’interpretazione di Dante, Benigni si era persuaso di essersi guadagnato il giubilo estetico e religioso di personalità di diversa appartenenza politica. Era ormai a un passo dal diventare “giullare di Dio”. Ora una piccola collera si è aggiunta a quella suscitata da chi ha trovato esagerato proporre il toscano “cantor di Dante” come il nuovo messia. Vittorio Gassman, Salvo Randone hanno dato interpretazioni maiuscole della “Divina Commedia”, ma non sono mai assurti alla gloria dei cieli. Benigni è stato, invece, canonizzato, forse perché professa una fede vigorosa per la Madonna da renderlo degno di divenire un conduttore di anime. Al Palio celeste è stato battuto da papa Francesco che ha rintuzzato l’equazione del cardinal Tonini secondo cui un “ateo” è uguale a un “cinico”. E’ destino che l’Italia conosca, oltre al confusionismo ideologico, quello ecumenico. Per arginare questo pericolo è stato scovato Bergoglio. Per far dispetto ai colleghi, quando c’è la consegna di qualche premio per lo spettacolo si presenta Benigni intonando l’elogio, non richiesto, del cinema. Offre la spiacevole sensazione di chi sia arrivato alla fine della sua carriera proprio sul punto di essere iscritto tra i grandi. Se avesse letto Stendhal sarebbe stato più accorto; amici inaffidabili gli ricordano che, in Italia, un “miracolo invecchia presto”.

MAURIZIO LIVERANI