di Maurizio Liverani
“Io dico sempre – ripeteva Leone Tolstoj – proprio quelle cose che mi vengono da confessare”. In sostanza, sosteneva che non bisogna aver vergogna quando, per scoprire i motivi delle nostre debolezze, è necessario mettere in luce l’inganno. Se la maggior parte degli italiani ha bocciato gli ideali e le speranze degli uomini della Resistenza è perché, alcuni chiaramente, altri oscuramente, hanno subito capito che erano ideali e speranze “da comizio”; e quando non lo sono, fanno logica parte della rozza e semplicistica furfanteria. L’ostilità di milioni di italiani verso questa furfanteria nasce dal fatto che il suo programma coincide con quello dell’accorto arraffatore. Ci sono volute varie Tangentopoli perché i cavalier serventi di questa furfanteria divenissero arbitri della situazione; ad essa fanno parte anche noti titolari di case farmaceutiche e soloni dell’editoria. La Tangentopoli orchestrata contro Bettino Craxi è nata da una congiura di tanti arraffatori politici i quali cercavano un pretesto per illudere gli italiani che, togliendo di torno il segretario del Psi, sarebbe entrata nella politica la moralità. Achille Occhetto (foto) fu il primo a dimostrare che il “mercato delle vacche” parlamentari è cominciato proprio al Mugello; commentò: “Non è vero che la presunta offerta di duecento milioni ad alcuni parlamentari sia meno scandalosa della promessa di un collegio sicuro, perché io ritengo addirittura più scandaloso il mercimonio dei posti elettorali; offrire un seggio è come vendere l’anima dell’elettore che non può emigrare ed è costretto a votare per un trasformista”. In altre parole, con quel seggio offerto al manovratore di quella Tangentopoli non soltanto sono stati ingannati onesti votanti, ma si sono poste le basi di un vasto “mercato delle vacche”. Questa verità procurò in molti popolari, parcheggiati nella sinistra, rabbie incontenibili. Aveva ragione Fausto Bertinotti che, in tempi non sospetti, bocciò i metodi di Antonio Di Pietro come troppo “rudi”; aveva visto giusto quando lo additava come una presenza autoritaria. Il sistema che prese il via dal Mugello preesisteva sin dal dopoguerra, praticato con disinvoltura da quasi tutti gli uomini d’affari italiani. Uomini mediocri, con un alto quoziente di trasformismo, dalle idee scettiche, hanno pensato fosse utile comunistizzarsi; bastava un simulato fervore, non uno stile magniloquente, ma esuberante di indignazione per essere immagazzinati tra i sostenitori della sinistra. Con una animalesca felicità, gli italiani attendono il prossimo referendum che, se avrà successo secondo i piani di Matteo Renzi, finalmente potremmo conoscere le basi di una “bella politica” di un “Paese normale”. Se dovesse fallire, la bella politica e il Paese normale potrebbero rappresentare quello che Emil Cioran chiama “l’agonia dell’indistruttibile”. La situazione della nazione non è imputabile soltanto a quanti la governano; è imputabile in gran parte alle grandi centrali economiche e sindacali che hanno coltivato l’orticello della propria corporazione con maggior fervore rispetto a quella della comunità.
Maurizio Liverani