UN UOMO SOLO AL COMANDO

di Maurizio Liverani

Superate le “resistenze interiori”, Giuliano Pisapia è entrato nel “salotto buono” della sinistra sfaldando come fastidioso il dalemismo, nato dal risentimento verso Matteo Renzi. Ancora una volta il famoso “baffino”, sospinto da una sadica voluttà di nuocere, voleva rendere il partito burrascoso e provvisorio alla mercé di impensati cataclismi quando gli estremisti della sinistra lo hanno elevato a loro leader. I motivi che inducono Massimo D’Alema a contrastare l’ex sindaco di Milano sono sempre riconducibili verso chi lo ha scalzato con nobili, secondo noi, intenzioni. L’attuale candidato della sinistra più sinistra non avrebbe, secondo lui, abbastanza acume per la politica del momento. Per questa sua mania di apparire risolutivo e di risultare regolarmente negativo ben gli si addice l’appellativo di “Micromegas”, personaggio descritto da Voltaire; un personaggio che si crede dotato di grande talento e ne è totalmente privo. Ora il suo obiettivo si impernia nell’alimentare il marasma nella sinistra. Pisapia, prontamente, lo ha depennato dal “quadrante della storia”, liquidandolo con una bocciatura che, invano, Roberto Speranza ha cercato di contrastare, mancando, come si diceva una volta, a “un grande destino”. Pisapia ha ritrovato i fondamenti umani e civili, preliminari a qualunque scelta ideologica; assurto a uomo-faro con il suo nuovo vangelo della sinistra unita, ha scoperto che non c’è alcuna differenza tra lui e Renzi. L’ex sindaco di Milano si isola dalla combriccola di furbacchioni e da uomo dell’età della pietra della sinistra emerge come leader, probabilmente, più popolare, insieme a Silvio Berlusconi, tra tutto l’elettorato italiano. In cuor suo vedrebbe di buon occhio la riedizione del partito unico, memore di quanto disse, nel ’99, Giuliano Amato: “In Italia al posto della dittatura di un partito solo è subentrata quella di cinque o sei partiti”. Se l’Italia cessasse di essere una nazione piena di indifferenti alla politica, Pisapia e Renzi avrebbero concrete possibilità di mettere radici nel governo del futuro. Per ora Pisapia deve accontentarsi di impersonare l’ideale politico concentrato in un uomo solo, estraneo ai partiti anche se milita in una frazione della sinistra; è nemico del “partitismo” e, per estensione, della politica come si esercita in Italia. L’avanzare del “giustiziere” verso l’idealizzazione di se stesso è inevitabile come l’avanzare della marea. Questa situazione paradossale ossessiona anche i partiti di destra. D’Alema si illudeva che il nuovo pupillo della politica italiana sarebbe rimasto contenuto, come un fiume, nei soliti argini. Ora che questo minaccioso flusso promette di straripare, corre (ma è troppo tardi) ai ripari; con lui la sinistra non è più un partito. Può accendere non uno, ma mille ceri a San Gennaro; con le sue scelte Pisapia ha ridotto a omarini, a ometti sprovveduti gli stralunati compagni. La calcomania strategica dei comunisti di un tempo è una parodia tattica. Il terremoto è sconvolgente. Tutti i piddini sono impreparati agli imprevisti e agli imponderabili. La sinistra è un magazzino di tendenze, una Rinascente di “ismi” in cui prevale l’unico vero leader -accanto a Pisapia- Matteo Renzi. Agli altri non resta che prendere atto di fare apparire i propri fallimenti come la miglior cosa al mondo.

Maurizio Liverani