FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI
UN VIRUS DETTA LEGGE
L’autorità dotata, per volontà divina, di maggior prestigio in questo periodo confuso tace, non riesce neanche a simulare un certo fervore morale esuberante di indignazione, non preoccupandosi dello stato d’animo dei suoi fedeli. In altre occasioni meno gravi papa Francesco, con una visione esagitata e soverchiante del proprio compito, li ha incoraggiati a non lasciarsi abbattere. Chiudendosi in un silenzio incomprensibile, è preda dei motteggiatori: brilla per l’oscurità delle sue vedute. La natura carismatica del pontefice, ogni giorno, cerca di far credere nell’assimilazione di idee profonde; ha soltanto idee nane, ma ne avrebbe molte e su tutto. Finora ci ha offerto soltanto bisbigli prelatizi, bisbigli da confessionale mentre il papato diventa sempre più una pedina trascurabile nel contesto internazionale. Ha ancora tempo per restaurare il prestigio dello scudo crociato, purtroppo la sua immagine è sconsigliata dalla civiltà delle immagini. Non sarà mai un grande leader della religione. Potrà permettersi il lusso di recitare la parte dell’uomo santo.
Mentre si rimane in attesa di una parola alata, Matteo Salvini affronta un processo. Tutti sono curiosi di sapere come andrà a finire in questo Paese intriso di cinismo in cui vale il motto di un anticlericale dell’ottocento, il Rapisardi: “Salmi sugli altari, flatulenze in sacrestia”. A tanti anni di distanza le guide morali sono ancora d’accordo con Pietro Nenni. In una democrazia senza demo un uomo politico somiglia a un ermafrodita sospeso tra diverse possibilità. Salvini (foto) potrebbe essere compagno di Matteo Renzi, ma nello stesso tempo essere alleato del “generoso” Silvio. Berlusconi (foto) si sente, in questi giorni, come quei corridori che tirano la volato ai pistards. Ma a chi? A Salvini che, per le prossime elezioni, cerca collegamenti in tutte le direzioni. La pantomima della contrapposizione potrebbe trasformarsi in una sostanziale collaborazione. Le celebrazioni non saranno più un’orgia di odio, non già in nome di una civile “convergenza”, bensì per un reciproco tornaconto. In conclusione, si direbbe che gli italiani siano ormai stanchi delle grandi deflagrazioni ideologiche. Ricordiamo questa sentenza di uno scrittore francese suicidatosi: “Quando si cessa di sperare, si comincia a vivere”. Cercava, forse, la fiducia nell’aldilà nel quale non credeva.
MAURIZIO LIVERANI