di Barbara Soffici
Settanta anni fa, il 2 giugno del 1946, le donne italiane, per la prima volta, esercitarono il diritto di voto. In seguito alcune di loro contribuirono alla stesura della Costituzione che ha stabilito l’assoluta parità tra i sessi (art.3) rispetto non solo alla capacità giuridica e politica ma anche lavorativa (art.27), sebbene con compensi inferiori. Oggi le donne sono ammesse ad esercitare ogni attività e professione con il medesimo trattamento rispetto agli uomini, ma ancora sono schiacciate dalla presunta superiorità maschile, sono vittime di violenza domestica e di un sarcasmo che tende spesso a ridimensionare le loro qualità e capacità. E’ chiaro allora che l’emancipazione femminile non possa essere intesa solo come una illusoria parità tra i generi, ma debba essere piuttosto valutata come un moto innovatore dell’intera società, come una componente del progresso sociale. In Italia l’estensione della parità dei sessi è stata propagandisticamente ingigantita rispetto il valore reale. Tangibile è ancora l’ostilità verso le “donne in carriera” o che si dedicano alla politica; i riconoscimenti sono spesso tardivi. Segno inequivocabile che, nel nostro Paese, un vero cambio di rotta epocale non c’è mai stato. Non è semplice affrontare il tema del ruolo della donna nella nostra società senza fare un consuntivo critico sulla sua evoluzione, prima intellettuale, poi giuridica e politica. E tanto meno si può negare che l’emancipazione femminile in Italia è stata raggiunta in ritardo rispetto ad altri Paesi Europei e che i movimenti femminili hanno dovuto sostenere una difficile e lunga lotta per raggiungere determinati traguardi. Relegate, fin dai tempi più antichi, in una posizione di incapacità giuridica e politica, le donne della penisola hanno iniziato a evolversi intellettualmente solo dal Rinascimento senza riuscire però ad ottenere alcun progresso nel regime giuridico fino al 1806, quando il Codice Napoleonico attribuì alla donna i diritti civili, tutelando anche alcuni interessi patrimoniali. Sebbene il codice italiano del 1865 abbia cancellato il carattere dell’inalienabilità alla dote e abbia affermato l’obbligo reciproco per i coniugi al mantenimento e all’educazione dei figli, solo una legge speciale del 1919 ha abrogato le norme sull’incapacità della donna a testimoniare, a vendere beni immobili e a compiere atti rilevanti senza l’autorizzazione del marito. E se, tra le due guerre mondiali, l’America e molti Stati europei riconobbero alle donne (tutelate anche nel campo del lavoro) il diritto di voto, le donne italiane hanno dovuto aspettare il 1945 per ottenere questo diritto. L’emancipazione della donna italiana è strettamente legata alla sua partecipazione alla lotta di Liberazione del Paese, un cammino di libertà e identità individuale, una scelta legittima per superare non solo la mostruosità della guerra, ma anche ogni tipo di discriminazione. Con questa volontà di emancipazione, mondine, braccianti, mezzadre, ma anche studentesse e “cittadine” si sono offerte alla Resistenza con una “passione politica” che non è venuta meno alla fine del conflitto quando, animate dalla volontà di superare definitivamente il confine tra tradizione e modernità, hanno tentato di inserirsi nel movimento operaio e di promuovere la costruzione di un contesto e di una politica in grado di contenere le loro aspettative, poi infrante dalla ricostruzione postbellica che ha riconosciuto alle donne il diritto di voto e una “parità formale” con gli uomini, ma le ha nuovamente relegate entro i confini dei “ruoli femminili”. Di fatto solo negli anni Sessanta e Settanta, grazie al movimento femminista, le donne italiane sono riuscite a superare i limiti della loro autonomia individuale e gli spazi tradizionali, a separare la sfera domestica da quella pubblica, a vedere riconosciuti i diritti civili e una maggiore parità con l’uomo. Nonostante il passare del tempo il ruolo sociale della donna in Italia è ancora molto distante da quello delle donne dei Paesi dell’Europa del nord. La donna italiana rimane in una sorta di “equilibrio” tra i doveri femminili (la cura e il ruolo di appoggio e di riconciliazione familiare) e i doveri di uguaglianza proclamati dalla Costituzione (l’informazione, la preparazione, la partecipazione politica), e vede spesso “marginalizzato” il modo di essere “cittadina”, il suo inserimento, come elemento necessario e indispensabile, al pari dell’uomo, a pieno titolo, nella vita sociale.
Barbara Soffici