di Maurizio Liverani
Di regola i giornalisti di valore privilegiano, con le loro interviste, i detentori dei maggiori pacchetti di voti. Ci viene il sospetto che, sul “Corriere della Sera”, Aldo Cazzullo abbia violato questa regola, colloquiando con Massimo D’Alema, per rendere un servizio a Matteo Renzi. E’ noto che il leader di Gallipoli, non rieletto, è un astioso avversario del segretario del Pd. Con le sue domande, si ha la sensazione che l’intervistatore abbia voluto mettere in chiaro come l’ex “discepolo” di Togliatti sia ormai un “indovinatore” delle proprie sconfitte. Il giornalista sembra chiedere ai lettori: come si può consacrare rispetto carismatico a chi ha le idee così confuse? Con un politico che non ha più dimestichezza con la spiegazione delle cose e non è più una figura culto; i suoi occhi hanno la luce fioca, quella della perdita di tempo. Dall’intervista si ricava la convinzione che nella cisterna stretta del suo pensiero non passino più le vere correnti dello spirito politico contemporaneo. La faccia di D’Alema, posta a corredo dell’articolo, sembra pervasa da una evidente intenzione di danneggiare il suo principale nemico. Solo lui, Massimo D’Alema, è un capo che possiede qualità di intelligenza, di passione, di valori, inseparabili dai suoi lineamenti che dicono “te la farò pagare”. Da tutta la conversazione si evince che soltanto lui ha una grandezza innata. E’ convinto della superiorità della propria sostanza umana, quella che ha cercato di mettere in luce, attraverso la penna di Giuseppe Chiarante, nel saggio “Da Togliatti a D’Alema: la tradizione dei comunisti italiani e le origini del PDS” (1997), sostenuto da un pamphlet scritto da Miriam Mafai titolato: “Dimenticare Berlinguer” (1996). I sondaggi hanno rivelato che Max mal si concilia con il pensiero di Palmiro Togliatti. Non è distinguibile dal branco delle mediocrità che sono succedute al Migliore. E infatti il partito non lo mette più in mostra come un cavallo da parata. Nonostante i fallimenti, D’Alema fluttua in un’atmosfera di euforia; è in grado di predisporci all’ottimismo sul suo destino anche seguendo il funerale della sinistra italiana. Le impietose riflessioni che hanno portato tanti della sua generazione a correggere la loro scelta di vita non lo sfiorano. La scelta imposta dalla base è la sua “emarginazione”, avvenuta quasi senza alcuno sforzo. I mass media non trascurano occasione per enfatizzare il suo volto di corrucciato, ma cortese, “trombato”.
Maurizio Liverani