di Maurizio Liverani
Quando gli si chiedeva un giudizio sul comunismo, Jean-Paul Sartre (foto) andava per le spicce: è una “cosa immutabile rivestita dalla menzogna multipla”. Prima di questa sintetica definizione si era inimicato l’intellettualità, che prima lo stimava, per aver detto che Krusciov “ha i calcoli nel cervello”. Che il Pd, erede del Pci, sia un partito monolitico è una menzogna. La famosa lunga marcia della falce e martello è per il momento in sosta nella suddivisione in due partiti: lo stalinista e l’antistalinista. A uno fa capo Massimo D’Alema e all’altro il liberista Matteo Renzi; sono due formazioni che si fanno guerra aspra. Il primo è un “bozzetto” di Togliatti, il secondo si compiace di esserlo di Enrico Berlinguer. I comunisti in Italia non conoscono la storia del loro partito, altrimenti citerebbero il caso Ignazio Silone che dette vita al partito comunista a Livorno nel 1921, insieme a Palmiro Togliatti. La rottura, per Silone, avvenne sulle famose “purghe” di Stalin nel 1930; scrittore di cui dovremmo essere fieri (e come tale dimenticato cinicamente dalla nostra letteratura). Oggi non c’è più, in Russia, la confessione di colpe non commesse ma c’è, come in Italia, un totalitarismo burocratico che impera nella sfera pubblica. Le figure esemplari di Botteghe Oscure come Piero Fassino sono messe ai margini e debbono trovarsi un posto. Per rimanere nella chiesa rossa, sentita come depositaria di democrazia, sono garantite le grandi lobbies, il capitalismo globale, il nuovo modo di produzione su scala mondiale, di stampo super-capitalista. L’italiano è convinto, sotto una logorante intimidazione e tortura psicologica da parte della stampa, che “tanto non c’è niente da fare”. La sopravvivenza passa per il conformismo. L’italiano è sempre stato incapace di dissentire e quando lo fa produce fenomeni da baraccone come il M5s. La politica come rassegnazione, come “tubo nero” senza feritoie, senza vie di scampo ci riporta all’”Uscita di sicurezza”, il libro-denuncia di Ignazio Silone. Il timore che venisse studiato indusse ad additarlo come collaboratore dell’Ovra, la polizia segreta del Duce. Gli stalinisti intendono la letteratura come un elenco di verità da celare mentre sostengono di essere per la testimonianza, l’impegno, la verità. Se la verità, come in “Uscita di sicurezza”, non asseconda i loro interessi non è più verità; è soltanto propaganda viscerale, qualunquismo, e chi più ne ha più ne metta. “Taci il nemico ti ascolta!”. E gli altri partiti cosiddetti democratici stanno a guardare.
Maurizio Liverani