VADO AL MASSIMO CON I BLUFF

di Maurizio Liverani

Bocciando la candidatura di Giuliano Pisapia alla guida della sinistra, Massimo D’Alema ricorda che l’ex sindaco di Milano ha nutrito simpatie per Rifondazione; indice che ancora una volta spara cartucce bagnate contro un suo rivale. Nella sua fazione, per la sua inconcludenza, lo guardano come un autore che si lanci nel puro non senso. Pisapia replica garbatamente che l’incombente Max non è più “portato” dopo aver coinvolto l’Italia nella guerra del Kosovo, causa dell’esproprio del suo ascendente, del suo credito, della sua usurpata autorità. Un tempo D’Alema si era posto nel crocicchio di tutte le convergenze. “Completo” di tutto, aveva la certezza di avere dalla sua parte il clan episcopale e la malleveria della Fiat. Il suo vero terrore è stato quello che la grande industria fosse scontenta di lui. Ha avuto il merito di averci fatto tornare in mente, quando era premier, Mino Maccari con l’aforisma “Eleva il tuo pensiero al governo e abbassalo immediatamente”. A proposito di una sua finanziaria, Ennio Flaiano avrebbe commentato: “Aiutiamo i benestanti, ci sono già troppi poveri”. Farsi rimproverare è il modo scelto da D’Alema per tenersi compagnia.  Il suo discorso, prima di rassegnare le dimissione nel ’99, è stato uno spettacolo in cui si è potuta misurare la distanza che separa la politica dalla realtà; ha dato l’impressione di essersi fatto oracolo. Da anni ripete sempre le stesse cose e, nonostante questa ripetitività, ha anche bisogno di leggerle. Ricordiamo che l’”incombente” Francesco Cossiga, ritirando nel ’99 la sua delegazione dal governo D’Alema, precisò che il premier somigliava a un “capretto scuoiato coperto di spezie”; la definizione calzava come un guanto a un presidente del Consiglio approdato a Palazzo Chigi come uno sparviero, convinto di far sparire sul più bello la “quaglia” Romano Prodi, il quale deve molta gratitudine allo sparviero perché, da quella impresa che lo voleva spennacchiato, è cominciata la sua deificazione. Invece del ragionamento politichese, Cossiga usava la metafora. E, metaforicamente, definì D’Alema anche un “agnello sul punto di essere immolato”. Sulla bilancia politica il defunto presidente della Repubblica gettava alla rinfusa tutti; tutti sotto voci speciali appartenenti alla caccia e alla uccellazione. Le definizioni di Cossiga hanno fatto entrare D’Alema in una di quelle collere che gli accendono sempre l’ira: “Cossiga segna il ritorno di uno scuro passato”. Il picconatore ebbe buon gioco con un’altra metafora consigliandogli di entrare in un monastero. Cosa gli è venuto in mente -sembrava pensare- quando ha deciso di prendere il posto di Prodi continuandone la politica disastrosa? Prodi avrebbe fatto ugualmente “patatrac!” come D’Alema; ma ha avuto il fiuto di farsi “disarcionare” in tempo per approdare, omerizzato, su altri lidi d’Europa. Pisapia snida “Sua Sempreità” Massimo D’Alema, ricordando la sua propensione a farsi dei nemici, per essere puntualmente “trombato”.

Maurizio Liverani