di Maurizio Liverani
Un certo Kafka ha dato a Orson Welles l’estro per un capolavoro: “Il processo”. C’è più traccia di simili opere nel nostro festival? Per ricordare grandi nomi illustri, a sessantanni dalla sua rinascita, dovremmo ricominciare da Thomas Mann che al Lido, all’Hotel Des Bains – frequentato da Marcel Proust -, concepì “Morte a Venezia” da cui Luchino Visconti trasse un bellissimo film. Il primato di Venezia cinema ha ceduto gradualmente. Questa festa, oggi, è il passatempo di un gruppuscolo di funzionari che ogni anno annunciano la rinascita del cinema al Lido. Questa festa non c’è più da anni; non c’è più la carica di aggressività volta al futuro e in trepida ricerca. Il fallimento professionale di grandi autori coincide con i lottizzati; grazie alla spartizione partitica, la selezione professionale ha cessato di esistere. Sere fa la televisione ha ripreso la cerimonia consueta per riassumere le “glorie” dell’industria dello spettacolo. In alto su un palco erano stipati tanti personaggi illustri, avvicinatisi al cinema solo da qualche anno, inneggianti alle glorie della mostra. Un operatore televisivo si è preso gioco di questa solenne commemorazione inquadrando ai piedi del palco la figura di un personaggio seduto come se fosse crocifisso, la giacca sbottonata quasi fosse colpito a morte. Era Gian Luigi Rondi, per lunghi anni artefice dei fasti e dei “nefasti” del festival di Venezia per volontà di Giulio Andreotti. Gli alti e bassi del festival si devono principalmente ai direttori, tra i quali l’ex fascista Luigi Chiarini, i quali, invece di pensare al cinema, si occupavano di giochi politici “utili” al cinema. La politica e gli intrighi che la contraddistinguono in Italia ha orientato la composizione delle giurie, l’assegnazione dei Leoni d’Oro e la mondanità, già da allora denominata “gauche caviar”. Dopo aver dedicato tutta la sua abilità di manovriere tra destra e sinistra, alla cerimonia ricordo Gian Luigi, ultranovantenne, si è preso finalmente la sua rivincita con la messa in scena della crocefissione della “dedizione” ai partiti. Evidentemente, contro di lui hanno prevalso le cattive lingue e i furbetti che nel cinema sono legioni. La sua simpatia, la sua intelligenza non gli sono servite a nulla; ha lasciato che per troppo tempo i catto-bolscevichi lo coprissero di frizzi e lazzi. Assistiamo al congedo di una persona amabile, furbesca, andreottiana, eucumenica, singolare anticomunista pro cinema rosso, ripudiato proprio da chi aveva aiutato. Comunque conserva la nostra simpatia.
Maurizio Liverani