di Maurizio Liverani
Il Festival di Venezia fa pensare a una cosa vecchiotta. Lo sciame filmico riacquista interesse perché si accoda allo sciame sismico del recente terremoto. Paradossalmente, ridesta la curiosità; arresta per un attimo il ruzzolone del suo angusto prestigio. A Venezia si accampano film che tirano a convincerci che il cinema sia ancora un’arte. Un’affermazione che è accettata con tranquillità dagli “addetti ai lavori”. Questi fanatici della celluloide, con il pretesto dell’arte, sbafano alti compensi a spese di noi contribuenti; fingono di non accorgersi che il nostro cinema tiene appena “il minimo”. I nuovi registi realizzano pellicole fatte per stare in casa davanti al casalingo video. Appartengo alla generazione che è stata allevata al cinema nel granitico credo dello “specifico filmico” destinato a durevoli affermazioni perché giustifica il “cinema-cinema”. Il brevetto di regista lo hanno in pochi: quanti sanno trasformare un linguaggio tecnico in mezzo espressivo. E’ nelle immagini, senza il corredo del parlato, con l’ausilio delle espressioni degli attori, la sola possibilità per il cinema di essere arte. Non nel riprodurre romanzi, commedie, storie verbose, ma nel riprodurre per esprimere in una sintesi diversa dalle altre arti, un’emozione, un brivido di poesia. Oggi è necessaria una frenesia immaginativa come quella di Fellini, di Kubrick o di Kusturica. Questi si distinguono dal semplice illustratore, dall’”istruttore” che muove gli attori e suggerisce le espressioni. Allo schermo lo spettatore -quello italiano soprattutto – non vuole comprensione per i suoi guai, vuole, attraverso le immagini, spingersi verso un inconoscibile, come può essere la scoperta di pulsioni sessuali che non sa confessare e accettare, oppure avventurarsi suoi prati verdi della meraviglia. Il nostro cinema è teatro filmato, vicende di cronaca appassionanti ma non per stile e linguaggio prettamente filmici. Si vuole sostituire alla cultura scritta una cultura visiva. La televisione ha già ucciso l’una e l’altra; ha inglobato il cinema portandolo a livello di fumetto, di soap-opera. Per fare cinema bisogna avere un temperamento vivace e fantasioso, come quello dello slavo Kusturica che è al Lido come presidente della giuria. Chissà come valuterà i film in concorso, lui che si entusiasma alle forme magiche, ai funamboli, ai saltimbanchi?
Maurizio Liverani