di Maurizio Liverani
Riflettendoci bene potremmo arrivare a concludere che le idee del mancato imbianchino, divenuto capo del Terzo Reich, rese note dal “Giornale”, renderebbero un buon servizio se inducessero altri organi di stampa a pubblicare testi “fragorosi” tenuti pigramente, o intenzionalmente, nel dimenticatoio. Per esempio, perché non rilanciare il “Che fare?” di Lenin, il vangelo del comunismo internazionale? “Scegliete compagni, – scrive Lenin – scegliete compagni italiani tra l’internazionale comunista e i menscevichi (così nell’Urss erano chiamati i socialisti) che non tollereremo mai nelle nostre file”. Conseguenza: durante la guerra di Spagna i comunisti sparavano alle spalle dei socialisti che si battevano contro la falange di Franco, come facevano i seguaci di Lenin. La cui convinzione era che “i socialisti hanno mandato in rovina la causa della rivoluzione, in tutti i tempi, in tutti i paesi”. A Livorno, nel maggio del 1921, i comunisti e i socialisti si contesero la fiducia della classe operaia. Il partito socialista italiano veniva espulso e sedici mesi più tardi le squadre di Mussolini marciavano su Roma. Da quel momento venivano poste le basi del nazifascismo; l’alleanza tra Hitler e il Duce e lo scoppio del più sanguinoso conflitto mondiale. Più di recente, Bettino Craxi si era accorto che i signorotti del partito comunista erano ancora intossicati di leninismo, la passione segreta di Antonio Di Pietro, con l’aiuto del quale la sinistra ha scavato la fossa al segretario del Psi. I “Lenin brothers” sono sopravvissuti, vivono nell’”inciucio” (“turpe ma salutare”, come lo definì Giorgio Amendola) mentre nelle gabbie televisive imperversano industriosi tarli leninisti. Le affinità tra nazismo e comunismo si manifestarono già con il famoso “patto di non aggressione” firmato dai ministri degli esteri sovietico e tedesco, Molotov e Von Ribbentrop, accordo comunicato a Mussolini quando era già stato stipulato. La Storia è data con il contagocce secondo le convenienze, oppure distorta come nei libri di scuola.
Maurizio Liverani