FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI
VOLTO’ LE SPALLE A VIA VENETO
Dopo aver conosciuto Anita Ekberg, ho potuto misurare, a distanza di anni, la coscienziosità con cui Anita cercava di intonarsi nella parte di una contadina bergamasca in un film in cui, con le sue grazie fuori ordinanza, doveva irretire il meridionale Carlo Giuffré. Così com’era conciata non somigliava più alla Sylvia del film di Fellini che fa il bagno nella fontana di Trevi e ulula come un cane nella notte. Si era messa una parrucca per non “sentirsi” tutta bionda come nella “Dolce vita”. Anitona, così la chiamava Fellini, aveva capito che il fatto di identificarsi con il personaggio di Sylvia la condannava a vivere un’esistenza vuota, senza una consistenza autentica, autonoma, determinata. “Ho fatto dieci film prima della “Dolce vita” e dieci film dopo… io non sono mai stata una donna da locali notturni, da chiassate per le strade di Roma… sarei il simbolo di Via Veneto? Non è vero… io a Via Veneto non vado mai…”. Questo sfogo prolungato era lardellato di puntini di sospensione perché Anita, tra una frase e l’altra, ingollava brandelli di porchetta. “I like so much la porchetta… “ sul set di un film che Massimo Mida girava a Riano Flaminio a pochi chilometri da Roma. Se c’era un dubbio sulla refrattarietà di Anita a fare la parte di una contadinotta, dopo questo saggio offerto sulla tavola imbandita di porchetta, di pezzi di pane e di ombrine di Frascati, questo dubbio cadde subito. Esibendo la sua bellezza con la placida e marmorea espressività della Sylvia della “dolce vita”, ma cercando di incamminarsi sul sentiero tracciato dalle dive neorealiste prima maniera, si presentava come una donna di morbida pasta scaldata dalla vita dei campi. Marcella De Marchis, la moglie di Roberto Rossellini, era la costumista. “Mi avevano detto che era stupida… ma neanche per sogno! E’ molto sveglia…”. Alla De Marchis l’avevano descritta come un deserto da riempire, un deserto inerte cui dare vita. Anita aveva accettato l’invito a trasformarsi in campagnola spettinata, ansante, traslucida di sudore pur di cancellare l’Anita della “Dolce vita”, in uno spiumio di sottane che metteva a nudo le gambe. Il marito Von Nutter seguiva la scena con occhi azzurri e malinconici. L’attrice diceva di amarlo ma non volle mai interpretare un film accanto a lui. I registi gli cambiarono il nome, da Von Nutter a Rogers. Di colpo ricevette offerte per fare film western che prima, come Von Nutter, non aveva. Il “Von” gli dava un certo sussiego e inchiodava il prossimo a una particolare deferenza. Come Rogers riceveva cordiali pacche sulle spalle.
MAURIZIO LIVERANI